NOMINE: CDX, ANCORA LITI SU SCELTE ‘TITOLARI’. CSX, SCONTRO MONACO D’AMICO SU PARI OPPORTUNITÀ

OGGI SEDUTA DEL CONSIGLIO REGIONALE CON LA MAGGIORANZA CHE HA EVITATO LA ROULETTE RUSSA DEL VOTO SULLE PARTECIPATE. MA DA RETROSCENA DELLA PRECEDENTE RIUNIONE EMERGONO ANCHE LE CREPE NEL CAMPO LARGO GUIDATO DALL' EX RETTORE DI UNITE SEMPRE PIÙ IN DIFFICOLTA'. NELLA SEDUTA DEL 18 OTTOBRE L'ATTACCO IN AULA DEL CAPOGRUPPO DI FDI, HA FATTO EMERGERE DIVISIONI NELL'OPPOSIZIONE DI CENTROSINISTRA E M5S, MENTRE INSOFFERENZA DELLA BASE CRESCE, PER LA SCARSA INCISIVITA' E LA MANCANZA DI UNA FORTE LEADERSHIP

30 Ottobre 2024 09:43

Regione - Consiglio Regionale, Politica

L’AQUILA – Sia pure con un ritardo imbarazzante, la maggioranza di centrodestra ha trovato l’accordo sulle caselle delle partecipiate anche se non sui nomi, sui quali sono ancora in corso liti, sgomitate e discussioni febbrili.

Questo prima di dare, a stretto giro, la lista dei candidati veri al presidente del consiglio Lorenzo Sospiri, di Forza Italia, il quale, visto il pronunciamento dei partiti di centrodestra nella conferenza dei capigruppo, ha ricevuto il compito di firmare i decreti, evitando così la roulette del voto in aula.

Ma non sembrano stare meglio le opposizioni che animano il campo largo guidato dal professore Luciano D’Amico, stimato ex rettore della università di Teramo che al primo tentativo non hanno fatto centro nell’indicare le quattro nomine per la commissione pari opportunità.

Proprio per un dissidio avvenuto nella riunione della commissione competente che ha preceduto la seduta dell’ultimo consiglio regionale del 18 ottobre, tra il candidato perdente alle elezioni del marzo scorso e il suo alleato consigliere di Alleanza Verdi e Sinistra, Alessio Monaco la variegata coalizione non ha consegnato i candidati alla commissione pari opportunità. La circostanza emerge da fonti della stessa minoranza, con una punta di fastidio, verso l’atteggiamento troppo pretenzioso del capo della opposizione che – raccontano alcuni dei suoi colleghi – vorrebbe sempre fare la parte del leone.





Da qui si riparte nella seduta di oggi del consiglio regionale, dove sono state cassate nell’ordine del del giorno le nomine delle 5 Ater, delle 3 Adsu, dell’Ersi, dei cinque consorzi di bonifica, del revisore legale dell’Arap, ma resteranno quelle del Garante dei detenuti, che andrà a Fdi e appunto della Commissione regionale pari opportunità

Vale la pena però ricordare le reazioni in aula dei due poli durante lavori assembleari del 18 ottobre, durante la quale però il centrodestra, evidentemente in imbarazzo per le spaccature interne e lo stallo delle nomine, non hanno reso noto il battibecco in commissione tra Monaco e D’Amico.

Con questo ultimo che poi non avrebbe preso parte alla restante parte della seduta, rivelano fonti di centrosinistra, perché di cattivo umore, dopo le divergenze con il suo collega.

“Noi eravamo pronti per cominciare a fare le nomine nei cda, ma dalla minoranza c’è stato chiesto di soprassedere, di rinviare, perché evidentemente non erano d’accordo per i componenti a loro spettanti, e hanno mostrato difficoltà a fornire anche la quaterna di nomi per la commissione delle pari opportunità, che almeno quella oggi si poteva nominare”, ha tuonato però il capogruppo di Fratelli d’Italia, Massimo Verrecchia, provocando le veementi reazioni dai banchi dell’opposizione del campo largo, con il consigliere del Partito democratico Antonio Blasioli, che ha ribattuto candidando lo stesso Verrecchie a vincitore assoluto dell’istituendo “premio Pinocchio”.

Va detto però che c’è del vero in quanto affermato dal capogruppo Fdi, evidenziando la mancanza di compattezza  su questa come su altre partite, con spaccature, seppure molto più sottotraccia e dietro le quinte, non avendo il centrosinistra e M5s l’onore e l’onere di governare e affrontare scelte potenzialmente laceranti.

Fonti interne, al netto dei dardi dialettici di Verrecchia, già confermavano del resto il mancato accordo sulle persone da indicare come consiglieri di minoranza nei cda, con tantissimi aspiranti tra i candidati non eletti, quadri dei partiti, favoriti delle segreterie regionali. A dar manforte a Verrecchia, il capogruppo della Lega, Vincenzo D’Incecco, “si può dire che noi del centrodestra non ci mettiamo d’accordo sulle grandi nomine, voi dell’opposizione nemmeno sulle piccole, nemmeno quelle per la commissione pari opportunità”.





E D’Amico, iscritto al gruppo misto, da tutti stimato per la sua caratura intellettuale, leader politico, che è un altro mestiere rispetto a quello dell’accademici, lo è solo in teoria, ma non nella pratica. Ma del resto difficile per chiunque diventare trascinatore e condottiero di un campo largo  che, novità assoluta in Abruzzo, si è costituito però tardivamente e solo in occasione delle elezioni del marzo scorso, tra forze tra loro eterogenee, come possono essere ad esempio Azione e Movimento 5 stelle, con il Partito democratico che fatica a fare l’ago della bilancia, anch’esso popolato da leader locali e in competizione tra loro. Una alleanza forzosa, un matrimonio d’interesse, quella tra Pd e M5s, che vacilla ora anche a livello nazionale, sconfitta cocente alle regionali in Liguria docet.

Nell’ultimo consiglio, a tal proposito, per quel che riguarda più di un emendamento presentato dal centrodestra alle variazioni di bilancio, i consiglieri di opposizione hanno votato in ordine sparso, a favore, contro o astenendosi, a seconda dei casi.

In Abruzzo la mazzata delle elezioni non è stata poi ancora superata: mai un presidente uscente, da quanto esiste la Regione Abruzzo, è stato riconfermato per un secondo mandato, ed è quello capitato a Marco Marsilio, che tra l’altro è romano, e solo abruzzese di origine. E inevitabilmente c’è chi addita come responsabili coloro che hanno tenuto i bastoni del comando negli ultimi anni, i consiglieri uscenti, quasi tutti riconfermati, le segreterie dei partiti, gli inossidabili leader del centro sinistra, attivissimi in campagna elettorale, come il deputato del Pd Luciano D’Alfonso, ex presidente di Regione, e i ras locali delle preferenze, ma non in numero sufficiente per far vincere le elezioni, oltre che far rieleggere se stessi, o il loro cavallo.

Ci si chiede ancora come sia stato possibile ad esempio che nessuno sia riuscito ad avere le carte, i numeri e le evidenze fattuali dagli uffici delle Asl, anche di straforo, che attestavano l’enorme debito della sanità, 122 milioni nel 2o23, emerso solo dopo le elezioni di marzo, con il centrodestra che magnificava in campagna elettorale il sistema sanitario abruzzese come di un modello virtuoso a livello nazionale. E perché i consiglieri in carica nella passata legislatura non si sono rifiutati di beneficiare di quota parte della distribuzione dei  fondi a pioggia del maxiemendamento da 22 milioni e rotti alla legge di Bilancio, di cui ora paradossalmente gli stessi consiglieri, rieletti, chiedono la cancellazione, bollando questa modalità di erogazione dei soldi pubblici come “marchettificio”, “amichettismo” e “mance elettorali”, di cui però loro stessi hanno beneficiato, garantendosi anche per questo la permanenza all’Emiciclo.

A conferma di questa irrequietezza, il bellicoso intento della neonata associazione “Abruzzo progressista”, nato dentro al Pd, con il placet dei vertici, ma che già si prepara ai congressi di circolo e provinciali del Pd, che si terranno a partire dal 15 novembre, con l’intento di dar seguito “al giudizio di profonda insoddisfazione diffuso tra elettori e iscritti”, rispetto all’operato dell’attuale governance. Filippo Tronca

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