PESCARA – Due anni fa un dirigente della Ugl era stato accusato dalla Presidente di un Ente vigilato dalla Regione Abruzzo di maltrattamenti e persecuzione, un’accusa che gli è costato il rapporto di lavoro e l’incarico da vicedirettore. Nei giorni scorsi è arrivata la totale assoluzione che ha smontato ogni frammento dell’impianto accusatorio”.
Lo ha detto Armando Foschi segretario generale della Ugl che ha seguito la vicenda sin dall’inizio. A pagare le conseguenze della vicenda è stato l’alto funzionario nonché dirigente sindacale che si è dovuto difendere penalmente da quella pesante accusa, aggravata dal fatto che avrebbe commesso i fatti nei confronti di una donna, tanto da far scattare le procedure previste per i reati da cosiddetto “codice rosso” e per questo è finito a processo, difeso dagli avvocati Luigi Albore Mascia, Giovanni Di Carlo e Claudio Croce. Dopo un lungo dibattimento in primo grado, terminata con una sentenza di assoluzione di ben 46 pagine dove le accuse venivano smontate punto per punto e con la più ampia formula perché il fatto non sussiste è arrivata la conferma anche dalla Corte d’Appello dove la sentenza di primo grado era stata impugnata. “
“Un sollievo per la persona coinvolta in questa penosa vicenda, da sempre attiva nel sindacato e nel volontariato sociale” ha aggiunto Foschi. “C’è da dire che a causa del procedimento penale che lo ha visto coinvolto, l’allora vicedirettore è stato preventivamente spogliato di tutti i suoi incarichi ed è stato costretto a trasferirsi in un altro luogo di lavoro cambiando addirittura provincia e subendo un pregiudizio economico importante a causa delle mutate funzioni. Secondo le accuse, messe nero su bianco in ben tre denunce ognuna delle quali ad integrazione delle precedenti, nell’arco di poche settimane la donna si sarebbe sentita minacciata dal vicedirettore e addirittura temeva di essere spiata da un drone o intercettata nelle sue comunicazioni a mezzo mail”.
“Durante le indagini sono state sentite decine di persone che sono state incapaci di rendere testimonianze in grado di confermare le accuse – ha spiegato ancora Foschi – poiché hanno riferito solo di ‘impressioni’ e ‘sensazioni’ che la donna avrebbe comunicato loro”. In realtà ciò che è emerso in primo grado, come sancito dai giudici e poi confermato in appello è stata una contrapposizione tra i vertici amministrativi dell’ente e quello politico in merito all’opportunità di alcune operazioni di gestione dell’ente.
“Una tensione diventata talmente alta da richiedere, da parte dell’allora vicedirettore – ha aggiunto Foschi – anche l’aiuto di un terapista di psicologia del lavoro a causa del forte stress cui era sottoposto che aveva anche causato una notevole perdita di peso che l’aveva portato ad appena 67 chili”. Ora l’assoluzione anche dalla Corte d’Appello che conferma quanto stabilito in primo grado. “Aspettiamo il deposito delle motivazioni per effettuare le nostre riflessioni e valutare eventuali azioni a tutela del nostro dirigente” ha concluso Foschi.
Download in PDF©