L’AQUILA – “Entrando nella piazza grande dalla parte di via Cavour istintivamente mi viene da mettermi la mano davanti agli occhi, come a proteggermi da un’improvvisa folata di vento intrisa di sabbia quasi fosse il ghibli del deserto. Il sole che si riflette sul biancore mi porta a chiudere gli occhi e mi assale un senso di straniamento che mi fa dire, ‘ma è questa la mia città? Ma è questa la piazza in cui sono vissuto, in cui correvo felice da bambino con mio padre, ancora giovanissimo, che mi incitava e qualche volta correva con me ?'”.
Ha animato un fitto e serrato dibattito, questo post di Fulvio di Carlo, campione del rugby, e ingegnere civile, sulla nuova piazza Duomo ripavimentata e oggetto di un profondo restyling.
Come al solito la cittadinanza si è divisa tra chi condivide l’amarezza di Di Carlo, (“il piattume di un enorme spiazzo accecante senza alcun motivo di decoro e movimento che crei raccordo con il complesso architettonico che lo circonda”) e chi invece apprezza la riqualificazione in chiave contemporanea (“Siete veramente insopportabili…ma come si fa a pensare che dopo il terremoto tutto debba tornare come prima ?).
Significativa la presa di posizione di Natalia Nurzia, dello storico bar che si affaccia in piazza “Condivido e non capisco perché… Questa la triste fine”.
Questa era la piazza, prosegue Di Carlo, “in cui amavo intrattenermi ad ascoltare le voci del mercato. La mia era una città grigia ,ma non il grigio del piattume e dell’incolore, era il grigio delle pietre nobili forgiate dalla storia, dalla vita, dalle arti e i mestieri che la fecero grande. Niente a che vedere col deserto attuale, il grigiore, quello sì, di una città priva di umanità”.
E ha poi precisato, “nessuno parla di colore nero o scuro ma tra il bianco e il nero c’è tanto, e poi non solo la scelta del colore. In ogni opera pubblica c’è sempre una filosofia guida , la mia è diversa”.
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