L’AQUILA – Non meno di 2.000 -2.500 voti, per avere almeno una speranza di essere eletti all’Emiciclo, una ragionevole certezza che scatta sopra i 4.000 – 5.000 voti, dagli 8.00o voti in su l’onore di fregiarsi del titolo di mister, o miss, preferenze, e di essere nominati assessori o presidenti del Consiglio. Il rischio per le piccole forze politiche nel presentare liste autonome in coalizione, ma non eleggere nessuno, invece di piazzare almeno i candidati di punta in liste più forti.
Anche intorno a questi numeri, e dilemmi, ragionano le segreterie dei partiti e vertici di movimenti civici, e i candidati o aspiranti tali, in vista delle elezioni regionali abruzzesi del 10 marzo, per le quali la campagna elettorale è già partita, gli aspiranti inquilini dell’Emiciclo scalpitano, sgomitano, si fanno i conti per vedere se l’impresa vale la candela, ma ad oggi al netto dei totonomi e degli annunci delle discese in campo, non c’è alcuna certezza sulle liste, a parte quelle di Fdi, comunicate lunedì dalla segreteria regionale, e che andranno in ogni caso depositate, per avere il crisma della ufficialità, il 9 e 10 febbraio alla Corte di Appello dell’Aquila.
E intanto moltiplicano il loro presenzialismo e attivismo sul territorio i due candidati presidenti, almeno loro certi, il governatore uscente Marco Marsilio, di Fratelli d’Italia, a capo della coalizione di centrodestra, composta da Fratelli d’Italia, Forza Italia, Lega, lista dei moderati e lista del presidente, che punta ad una riconferma che sarebbe la prima volta da quanto esiste la Regione Abruzzo, e l’ex rettore dell’Università di Teramo e docente di Economia, Luciano D’Amico, sostenuto da Partito democratico, Movimento 5 stelle, Azione, Abruzzo riformista che vede insieme Italia viva, Socialisti, +Europa, lista progressista, con Sinistra Italiana, Articolo 1, Demos ed Europa Verde, una lista di amministratori promossa da Polis 305, e una lista del presidente.
Le elezioni regionali in Abruzzo sono disciplinate da una norma nazionale, valida per tutte le regioni a statuto ordinario, la Legge Tatarella, e da una legge regionale, la n. 9 del 2 aprile 2013, che ha abolito il voto disgiunto e il listino, introducendo anche una soglia di sbarramento. Il tentativo di modificare la legge elettorale regionale si è perso nel nulla: presentata dal presidente Marsilio prevedeva innanzitutto l’introduzione del collegio unico regionale, e un posto garantito in consiglio anche per il secondo candidato presidente sconfitto.
Primo passaggio decisivo sarà, dalle ore 8 di venerdì 9 febbraio fino alle ore 12 di sabato 10 febbraio, la presentazione delle candidature a presidente della giunta regionale all’Ufficio centrale regionale costituito presso la Corte di Appello dell’Aquila e delle liste per ogni circoscrizione dei candidati agli Uffici centrali circoscrizionali costituiti presso i Tribunali dei capoluoghi di provincia. Entro mercoledì 14 febbraio inoltre l’Ufficio centrale regionale dovrà decidere sui ricorsi per eventuali esclusioni di candidati e liste.
I candidati dovranno essere 7 per ciascuna lista nei collegi provinciali di L’Aquila, Teramo e Pescara, 8 nel più grande collegio di Chieti, composte in base alle disposizioni delle “quote rosa”, secondo cui nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore al 60% dei candidati.
Sia il presidente della Regione sia i membri del Consiglio regionale, 30 più il presidente, sono eletti a suffragio universale: diventa governatore il candidato che ottiene la maggioranza dei voti validi a livello regionale, e non è previsto un secondo turno.
I candidati non eletti possono ambire, con il meccanismo della surroga, ad un posto in consiglio prendendo il posto degli eletti che sono nominati assessori, che sono sei, ma uno di loro può essere un esterno, e non scatta in questo caso la surroga.
I candidati presidenti devono essere collegati ad una lista o ad una coalizione, e in questo caso la legge parla di “patto di coalizione”. Alla lista o alla coalizione del presidente eletto viene, quindi, attribuita una maggioranza compresa tra il 60% e il 65% dei seggi.
L’elezione del Consiglio, invece, prevede una competizione tra liste, presentate all’interno delle quattro circoscrizioni abruzzesi, ma occorre superare uno sbarramento al 4% per le liste non coalizzate, che corrono da sole, e al 2% per quelle inserite in una coalizione.
Entrano di diritto nel consiglio regionale il presidente della Giunta ed il candidato presidente arrivato secondo.
Ma quanti voti, grossomodo, serviranno alle coalizioni e ai singoli candidati per vincere?
Certezze matematiche non ci sono, molto dipende se si è candidati nella coalizione vincente o perdente, dal collegio e dalla presenza in lista di big accaparra-voti e che relegano gli altri candidati a comprimari.
Un metro di paragone possono però essere le elezioni del 10 febbraio del 2019, dove a votare sono andati 643.287 abruzzesi, il 53,1%, con 18.805 schede bianche o non valide.
Seppure in uno scenario politico decisamente diverso e ora superato, ai seguenti numeri guardano oggi, oltre che ai sondaggi, le segreterie dei partiti.
A vincere fu il centrodestra di Marsilio con 299.949 voti, pari al 48%, che ha battuto il candidato del centrosinistra Giovanni Legnini, 195. 394 voti, pari al 31,3%, la candidata del Movimento 5 stelle, Sara Marcozzi, ora in Forza Italia, con 126.165 voti, pari al 20,2%, e il candidato di CasaPound Italia, Stefano Flajani, scomparso nel febbraio di quest’anno, 2.974 voti pari allo 0,48%.
Ebbene, la Lega con 165.008 voti, pari al 27,53%, ha ottenuto 10 seggi, Forza Italia con 54.223 voti (9%) 3 seggi, Fratelli d’Italia con 38.894 voti (6,5%) 2 seggi, Azione Politica con 19.446 voti (3,24%) 1 seggio, come pure la lista di Unione di Centro -Idea-Noi con l’Italia-Dc con 17.308 voti, pari al 2,89%.
Dunque, se ne deduce, nella coalizione vincente una lista deve ambire a superare almeno i 17mila voti in tutta la regione, per ottenere almeno un seggio, e con percentuali sopra il 27% si può ambire a fare il pieno di consiglieri, anche 10.
Nel centrosinistra sconfitto, il Partito Democratico con 66.769 voti (11,14%), ha ottenuto 3 seggi, la lista Legnini Presidente con 33.277 voti, (5,55%) un seggio, Abruzzo in Comune e Regione Facile con 23.168 voti (3,87%) 1 seggio.
Nel centrosinistra non hanno preso seggi, ottenendo dai 16mila ai 5mila, sotto il 2,7% , la lista di Progressisti – Liberi e Uguali, la lista di Abruzzo Insieme e Abruzzo Futuro la lista di +Abruzzo e Centro Democratico, la lista Centristi X l’Europa, la lista di Avanti Abruzzo e Italia dei Valori
Il Movimento 5 stelle, invece con meno voti del centrosinistra, pari a 126.165 pari al 20,2% ha preso più consiglieri, ben sette.
Quanto voti poi devono prendere i singoli consiglieri per poter ambire ad entrare all’Emiciclo?
Anche qui utile è tornare alle elezioni del 2019: nel centrodestra vincente il più votato è stato con 8.838 preferenze l’assessore della Lega Pietro Quaresimale, ma per entrare in consiglio sono stati sufficienti anche i 5.257 voti di Marianna Scoccia dell’Udc.
Nel centrosinistra il più votato è l’ora del capogruppo del Pd Silvio Paolucci con 6.349 preferenze, ed è entrato in consiglio, in fondo alla classifica, con 3.763 voti, anche il dem Antonio Blasioli. il meno votato tra gli eletti.
Nel M5s da una parte c’è stato il recordman assoluto di preferenze Domenico Pettinari, con 9.563 voti, dalla parte opposta, con “soli” 2.182 voti, Marco Cipolletti, ora in Fratelli d’Italia.
La quantità di voti necessari dipende insomma dalle liste, e dalla presenza di big nel proprio collegio. Ma di fatto si può essere eletti anche superando la soglia dei 2.00o voti, che però non sono lontanamente sufficienti in altre liste più competitive, in particolare quelle nella coalizione vincente.
Infine le modalità di voto: si può mettere la fatidica croce alla sola lista circoscrizionale, che si considera estesa anche al candidato presidente collegato. In questa circostanza è possibile anche esprimere due preferenze per due candidati consigliere, purché siano di genere diverso, indicandone il cognome o il nome e cognome. Oppure si può votare il solo candidato presidente.
Non è possibile, tuttavia, effettuare il cosiddetto voto disgiunto, ragione per cui l’elettore non può scegliere un candidato presidente e una lista circoscrizionale ad esso non collegata.
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