RIGOPIANO: PAPALIA SI SCAGLIA SU RITARDI SOCCORSI, PER PM LA TRAGEDIA SI POTEVA EVITARE

24 Novembre 2022 09:19

Pescara - Cronaca

PESCARA – Nuove accuse della Procura in occasione del processo sulla tragedia di Rigopiano che  è ripreso stamattina.

Nel corso del suo intervento il Pm Andrea Papalia ha stigmatizzato i ritardi nell’apertura della Sala operativa e del Centro coordinamento soccorsi (CCS).

“Dalle acquisizioni documentali fatte nell’ambito delle indagini avviate subito dopo la tragedia” ha detto il pm  “abbiamo rintracciato due note prefettizie. Una con data 16 gennaio 2017, a firma del capo gabinetto Bianco, inviata alla presidenza del Consiglio dei Ministri, al ministero dell’Interno e per conoscenza al presidente della Regione Abruzzo e alla Sala operativa della Protezione civile regionale; l’altra con data 17 gennaio, a firma del prefetto di Pescara Provolo, inviata alla presidenza del Consiglio dei Ministri e al ministero dell’Interno. In queste note, inviate a seguito dell’allerta meteo, veniva rappresentata dalla Prefettura l’avvenuta attivazione, a partire dalla mattina del 16 gennaio, alle ore 9, della Sala operativa provinciale di Protezione civile e del Centro coordinamento soccorsi”.





“Nella nota del 17 gennaio, a firma del prefetto si conferma l’apertura della Sala operativa e del Centro coordinamento. Le indagini e le risultanze investigative – ha detto inoltre il Pm- hanno dimostrato in modo chiaro la falsità delle circostanze rappresentate in queste note, che erano finalizzate evidentemente ad attribuire alla Prefettura una apparente tempestività e capacità di intervento nell’emergenza”. “In realtà il Centro coordinamento soccorsi e la Sala operativa erano state aperte il 16 gennaio 2017 solo sulla carta, perché l’effettivo insediamento si verificherà il 18 gennaio mattina. La nota era quindi strumentale”, conclude Papalia. Secondo il pm, una attivazione tempestiva della Sala operativa e del Centro Coordinamento Soccorsi avrebbe portato all’espletamento di varie attività in modo da evitare la tragedia.

Nell’udienza di ieri  la Procura aveva parlato di “fallimento di un intero sistema”: questo è stata la valanga che il 18 gennaio del 2017 si è abbattuta sull’hotel di Rigopiano, provocando 29 morti. Un fallimento che ha generato una sofferenza così complessa  di cui la pm Anna Benigni ha parlato in aula durante la requisitoria. Sostenendo che, per la procura, proprio “il dolore che tutti hanno provato di fronte a questa tragedia è stato il motore di questo ufficio”; un dolore al quale, ha aggiunto, “vogliamo dare una risposta”.

L’accusa non è stata affatto tenera nella prima giornata dedicata alle requisitorie in un processo che vede alla sbarra 29 imputati, tra i quali l’ex prefetto di Pescara Francesco Provolo, l’ex presidente della Provincia Antonio Di Marco e il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta, oltre alla società allora proprietaria dell’hotel. E come primo atto, per la prima volta dopo due anni di processo, ha fatto in aula tutti i nomi e mostrato tutti i volti delle vittime di quella tragedia. Finora infatti, a causa della formula processuale del rito abbreviato durante il quale si saltano alcuni passaggi e non viene ricostruita l’intera vicenda, quei nomi non erano stati fatti.

Un omaggio alle vittime, quello dei rappresentanti della procura, che poi ha messo in fila quelle che secondo l’accusa sono le responsabilità dei due principali enti coinvolti, il Comune di Farindola e la Provincia di Pescara. Il Comune – è la ricostruzione degli inquirenti – non attivò la Commissione valanghe e non mise in pratica il Piano emergenze e gli strumenti urbanistici preventivi, come la realizzazione delle barriere protettive antivalanghe. Ed inoltre, avrebbe dovuto attivarsi per sgomberare l’hotel subito dopo l’ordinanza di chiusura delle scuole, emessa il giorno prima della valanga. Ed invece il sindaco Lacchetta accompagnò gli ospiti nel resort proprio la sera del 17 gennaio.





La Provincia invece finisce nel mirino soprattutto per la ‘strada trappola’, i 9 chilometri che dal bivio in località Mirri portavano fino all’hotel, in cui rimase bloccata per ore la colonna dei soccorsi: non monitorò le condizioni della strada. Poiché, se fosse stata libera dalla neve, gli ospiti dell’hotel avrebbero avuto la possibilità di lasciarlo dopo le scosse di terremoto. Inoltre, non provvide a sostituire la turbina rotta che avrebbe dovuto togliere la neve dalla sede stradale e non chiuse la strada con la conseguente dichiarazione di inagibilità dell’hotel, cosa che avrebbe imposto l’evacuazione.

Ad analizzare il comportamento della Regione Abruzzo è stato invece l’altro sostituto procuratore, Andrea Papalia, che ora sta completando la sua requisitoria. Un comportamento, in particolare, relativo alla mancata realizzazione della Carta valanghe.

“Fallimento è l’omessa pianificazione territoriale di una legge del 1992 – ha detto il pubblico ministero – La Carta valanghe era un compito che spettava ai dirigenti della Regione Abruzzo ma quell’idea tempestiva e lungimirante è rimasta una buona intenzione senza risultati. Si è trattato di un ritardo inaccettabile”. Ed è proprio da questo ritardo, ha concluso, “che si deve partire. Perché di questa responsabilità si deve rispondere penalmente”.

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