RUGBY: LO CICERO, L’ULTIMO SCATTO DEL BARONE; ”QUANDO ANDAVO IN PIAZZA DUOMO…”

di Marianna Galeota

21 Marzo 2013 08:09

L'Aquila -

L’AQUILA – Quindici anni passati a spingere in prima linea in una mischia, lì dove c’è da dare di più, lì dove la battaglia si gioca centimetro dopo centimetro, uomo contro uomo.

Dita e costole rotte, fratture e lussazioni a non finire. Uscite dal campo per infortunio: una.

È lui, Ironman, il Barone Andrea Lo Cicero che, a 37 anni suonati, dice addio all’Italia del rugby con 103 presenze all’attivo, diventando l’azzurro con più caps in assoluto nella storia della palla ovale azzurra.

Ex giocatore dell’Aquila Rugby dal 2004 al 2008, Andrea è molto legato al capoluogo, non solo per averci vissuto per quattro anni, ma perché proprio all’Aquila si sono cementate le sue amicizie più vere, quelle con Andrea Masi e Carlo Festuccia, aquilani, ex neroverdi nonché suoi compagni nel Racing Métro a Parigi.

“Ho amicizie con molti rugbysti, con ognuno di loro c’è un rapporto particolare, ma sicuramente quelli con Masi e Festuccia sono i più duraturi”, spiega in un’intervista esclusiva ad AbruzzoWeb.

Nel capoluogo abruzzese il Barone dice di aver trovato molto della sua città natale, Catania, lasciata a soli 21 anni per rincorrere il sogno della palla ovale.

“Dell’Aquila ricordo con affetto il mercato di piazza Duomo, i rumori, quei profumi indimenticabili – dice – mi piaceva fare la spesa al mercato, scegliere con cura la verdura, i formaggi. Mi ricordava molto il mercato di Messina e mi sentivo a casa”.

Granitico e inossidabile, il gigante Lo Cicero, tradito ancora una volta dall’emozione si commuove al telefono ricordando la standing ovation dei 75 mila dell’Olimpico che sabato scorso, in occasione di Italia-Irlanda lo hanno salutato con un lunghissimo applauso.

“Quello che ho provato non si può descrivere, le parole non bastano. Ho vissuto una magia incredibile, li ringrazierei tutti, uno per uno se potessi”, dice.





Sulle tue spalle sono passati quasi tre lustri di storia del rugby nazionale, quali i momenti più belli e quali i più duri?

Il momento più duro è stato sicuramente quando mi sono bucato un polmone e sono rimasto in rianimazione per 6 giorni. Lì mi sono accorto che qualcosa era cambiato, è stata la prova più difficile della mia vita. Sono del parere, però, che questi momenti arrivino per insegnarci qualcosa e darci modo di crescere e maturare. Tra i più belli, sicuramente la vittoria con l’Irlanda di sabato scorso. È stato il regalo più bello che la mia squadra potesse farmi, la ciliegina sulla torta.

Hai provato anche a fare meta nella partita di addio con l’Irlanda…

Ci ho provato, sì. Ho fatto un bello scatto, ma a 37 anni la velocità è quella che è. Ho il tachimetro e il limitatore inserito!

103 presenze sono tante!

Sì, sono molte, è vero, e avrei potuto farne molte altre di più. Ma sono contento così, non posso certo lamentarmi.

Com’è stata la tua esperienza all’Aquila?

Sono stato benissimo, mi sono sentito subito a casa. È una città a misura d’uomo, davvero deliziosa, che mi ricordava molto la mia Catania. Ci sono stato 4 anni e sono stato anche capitano neroverde, prima di andare a Parigi con il Racing. Il terremoto ha distrutto quell’incanto e quando ho appreso la notizia ho provato un dolore profondo. Voglio tornare all’Aquila e adesso che ho più tempo sicuramente verrò a trovare i miei amici aquilani e, perché no, a sciare.

Hai prestato anche la tua immagine nello spot azzurro girato a nel Duomo del capoluogo.

Sì, ho girato quello spot insieme ad Andrea Masi, i fratelli Mauro e Mirco Bergamasco, Santiago Dellapè, Fabio Ongaro, Salvatore Perugini e Maurizio Zaffiri e ne sono stato felice. Su mia iniziativa personale, poi, ho messo all’asta alcune maglie, insieme ad Andrea e Carlo, ricavando 10 mila euro che ho devoluto all’associazione Forza L’Aquila di Carlo Caione. Ho cercato rendermi utile come potevo.





Segui L’Aquila Rugby?

No, purtroppo. Mi piacerebbe molto, ma lavorando a Parigi mi resta difficile seguire il campionato d’Eccellenza. Cerco di informarmi il più possibile, però, e so che non naviga in buone acque. Nessuna squadra dovrebbe mai trovarsi in queste condizioni, mi dispiace davvero molto.

Hai già pensato al dopo? Ti piacerebbe allenare?

Ora inizierà per me una nuova vita. Dovrò reinventarmi da capo. Sono stato fortunato perché ho fatto di una mia passione una professione. Non tutti ci riescono. Dovrò ricominciare da zero adesso, e spero che la Federazione potrà aiutarmi a restare nell’ambiente. Non vorrei allenare, mi piacerebbe invece diventare manager nell’ambiente rugbystico, magari in team con un valido staff e in vista di un progetto serio. Nel frattempo, però, mi prenderò un periodo di meritato riposo. 

Come ti sei avvicinato a questo sport?

Per caso, grazie a mio zio che mi portò a vedere una partita dell’Amatori Catania. Ero piccolino, avevo solo 17 anni. A quei tempi praticavo canoa e lotta greco romana, due sport molto distanti dal rugby. Andai a fare una selezione per giovani nazionali e mi presero subito. Ricordo ancora il viaggio in vespa fino al campo: la strada sembrava non finire mai! Non avevo mai giocato a rugby, ma mi presero lo stesso. Mi dissero semplicemente ‘passa indietro la palla e, se non ci riesci, corri avanti e schiva più avversari che puoi’.

Sei odontotecnico e iscritto alla facoltà di Odontoiatria. Pensi potrebbe essere una strada?

Non credo, ma mi piacerebbe prendere questa laurea. Sarebbe un bel regalo per i miei genitori. Sono iscritto all’Università dell’Aquila. Chi vivrà vedrà!

Perché il rugby e non il calcio?
 
Perché il rugby in più del calcio ha tutto! Di meno solo i delinquenti e i soldi! Mi auguro che il mio sport non diventi mai come il calcio! Mai!

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