Da Alfonso De Amicis, esponente di lungo corso della sinistra di classe aquilana, riceviamo e pubblichiamo.
L’AQUILA – Si fa presto a parlare di polemica tra Matteo Salvini e Maurizio Landini.
Le parole al vento di entrambi sono rivelatrici di questi tempi, bui, molto più che non le rispettive debolezze, bassezze, o vergogne.
Così come si fa molto presto a dire “sciopero generale” quando sono “secoli” che non se ne parla e tanto meno si è proceduto con azioni sul campo, ad esempio con momenti di conflitto contro il padronato e i governi che negli ultimi trent’anni sono stati l’espressione di quel potere.
Non è un caso che la condizione salariale di questo Paese sia la più infame e classista di tutta l’Europa.
Appare altresì avvilente e volgare tutto il cosiddetto dibattito pubblico che circonda la condizione della classe lavoratrice e non.
Non sono poi così lontani i tempi in cui le élites continentali lanciarono il piano Werner, un progetto in grande stile di cambi fissi, di moneta unica e di deflazione salariale (siamo agli inizi degli anni ’70 del secolo scorso): il progetto, abortito in quegli anni, vide effettivamente la luce in tutta la sua terrificante interezza con il Trattato di Maastricht, ai tempi delle battaglie e delle controversie dentro la Cgil, in particolare nelle sue strutture territoriali, circa la pericolosità dell’impianto eurista per la democrazia e per le condizioni generali del movimento operaio nel Vecchio Continente.
Tutta la struttura dirigente fece proprie queste politiche di deflazione, divenendo nel tempo una vera e propria cinghia di trasmissione di quei partiti che cammin facendo si sono trasformati da rappresentati delle istanze di equità a veri portavoce di un neoliberismo compassionevole.
Ed oggi quel consenso carpito con panegirici di parole arriva ad uno snodo difficilmente aggirabile.
Vale per i finti rappresentanti della finta sinistra, vale ancor più per il sindacato.
Si sono infatti accettate le controriforme sul mercato del lavoro, con provvedimenti di precarizzazzione e sostanzialmente riportando i lavoratori a condizioni di neofeudalesimo, per non parlare della questione pensionistica in cui nel frattempo si agitavano contrapposizioni tra nuove generazioni e lavoratori in età avanzata.
Il risultato è stato che i lavoratori si sono guadagnati la pensione in età che solo a pensarci appaiono scandaloso e, appunto, nel contempo i giovani non hanno né lavoro né, ovviamente, avranno la pensione se non rivolgendosi alla infame previdenza privata, un mix di causa ed effetto nell’universo neoliberista.
In tal modo si è avallato il conflitto generazionale al posto del conflitto di classe, dimenticando, tra l’altro, una verità di lettura sulla formazione del Salario Sociale di Classe, ossia che la pensione è salario differito interamente appartenete al lavoratore.
Purtuttavia va ricordato a Landini, così come ai vari segretari regionali o di camera del lavoro, che la regolarizzazione del diritto di sciopero è stata voluta dal sindacato confederale per contrastare le insorgenze dei sindacati di base e conflittuali.
E dunque, la Storia – valga pure per le grandi questioni internazionali – presenta in modo impietoso il conto.
Tocca quindi ribadire che centrosinistra e centrodestra sono l’espressione, magari con qualche sfumatura che non ne inficia le differenze sostanziali, del finanzismo europeo.
Seppur in grave crisi e con una alternativa che tarda ad arrivare.
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