L’AQUILA – “Ci ritroviamo qui a 15 anni dal terremoto e dopo due anni dalle sentenze di primo grado: questi pronunciamenti oggi indignano ancora di più. Non si può passare sopra alle vittime tutte queste volte, continuando a colpevolizzarle, e questo vale per qualsiasi vicenda. Così si creano precedenti pericolosi”.
Torna a chiedere giustizia Vincenzo Vittorini, medico chirurgo che nel sisma del 6 aprile del 2009 all’Aquila ha perso moglie e figlio, davanti allo striscione che recita: “Le vittime non hanno colpe”.
Insieme al Comitato familiari delle vittime del sisma, cittadini e diversi esponenti politici, oggi è sceso di nuovo in piazza, al parcheggio del tribunale dell’Aquila, a Villa Gioia, per la mobilitazione organizzata dai comitati spontanei dopo le ultime sentenze shock che non solo non risarciscono i parenti dei sette studenti morti – Nicola Bianchi, Ivana Lannutti, Enza Terzini, Michele Strazzella, Daniela Bortoletti, Sara Persichitti e Nicola Colonna -, ma li condannano anche pagarsi le spese legali, quasi 14 mila euro.
Circa duecento le persone che hanno preso parte al sit-in dopo che la Corte d’Appello dell’Aquila ha confermato la decisione del tribunale civile che già nel 2022 aveva respinto la richiesta collegando le morti al comportamento dei giovani.
Secondo i giudici, le cause sono da ricercare nelle decisioni dei ragazzi assolvendo da ogni colpa, come in primo grado, la Commissione Grandi Rischi che si era riunita all’Aquila il 31 marzo del 2009, cinque giorni prima del tragico sisma, lanciando falsi messaggi rassicuranti: su questa vicenda, dopo il sisma il Tribunale dell’Aquila aveva condannato a sei anni i sette scienziati che aveva partecipato alla riunione, assolti poi in appello ad eccezione di Bernardo De Bernardinis, vice capo della protezione civile, la cui condanna a due anni è stata confermata dalla Cassazione. De Benardinis che aveva presieduto la riunione al posto dell’allora capo della protezione civile nazionale, Guido Bertolaso, aveva inviato, subito dopo la riunione messaggi rassicuranti che avrebbero indotto gli aquilani a non prendere le misure tradizionali, tra cui uscire di casa dopo una scossa.
In serata, il sindaco dell’Aquila, Pierluigi Biondi, dopo un colloquio avuto con Roberta D’Avolio, presidente dell’Associazione nazionale magistrati (Anm) Abruzzo, in una nota ha spiegato: “L’interpretazione giuridica alla base dell’ultima sentenza della Corte d’Appello dell’Aquila che ha negato il risarcimento nei confronti dei familiari di alcune vittime del terremoto che dovranno procedere al pagamento delle spese legali, lascia perplessi, e questo a prescindere dalla giurisprudenza e dal merito delle norme e della loro applicazione. Per questo, a nome dell’amministrazione, senza ritenere di trascendere dai ruoli istituzionali che ci impongono il massimo rispetto per le decisioni della magistratura, ho chiesto di approfondire. Desidero ribadire la vicinanza della Municipalità tutta ai tanti che nella tragedia del 6 aprile 2009 hanno perso un proprio caro e all’intera comunità aquilana. Personalmente sono pervaso da un sentimento di profonda solidarietà nei confronti dei miei concittadini con i quali ho condiviso un dolore i cui effetti resteranno nella memoria di ciascuno”.
Alla manifestazione è intervenuto anche Sergio Bianchi, padre di Nicola, morto la notte del 6 aprile perché aveva deciso di restare in città per dare un esame: “Le vittime sono state ingannate, e noi non dobbiamo starci zitti. Dobbiamo difenderci in tutte le sedi. In questi anni ho ricevuto tante querele ma non mi fermo, penso che i diritti delle vittime siano stati calpestati e non lo trovo giusto. Tanti ragazzi erano qui per crearsi un futuro. Sono stati rassicurati, è stato detto loro di stare tranquilli. La verità storica è questa, è una vigliaccata”.
Per Federico Vittorini, figlio di Vincenzo: “Dare la responsabilità della propria morte a una vittima non solo è un atto vile, ma anche parecchio pericoloso, non solo per questo caso. Ci facciamo sentire come comitato e comunità anche a tutela dell’intera popolazione, perché non si debba più assistere a queste ingiustizie”.
Al sit.in hanno preso parte anche il consigliere regionale del Pd Pierpaolo Pietrucci e la consigliera comunale Simona Giannangeli che, rispettivamente a livello regionale e comunale, hanno presentato una proposta che impegna le istituzioni a pagare le spese legali ai familiari.
Per Stefania Pezzopane, consigliera comunale Pd: “Oggi non si può non essere qui, sbaglia chi non c’è. Il 6 aprile ha rappresentato un dramma inaudito e così si riapre una ferita tornata a sanguinare copiosamente. Non si può imputare responsabilità alle vittime. Quella notte eravamo qui, non siamo usciti perché rassicurati. Ritenere che chi non è uscito abbia addirittura responsabilità, significa che ci troviamo davanti ad una sentenza sbagliata, fondata su presupposti inconsistenti. Lo stato assolve se stesso per non dare risarcimenti”.
Presente anche Rita Innocenzi, sindacalista e candidata alle regionali dello scorso 10 marzo: “Siamo qui come comunità, L’Aquila c’è vigila perché anche attraverso atti di giustizia si ricostruisce questa città. Vigileremo affinché L’Aquila non diventi una culla di una giurisprudenza che rischia di generare precedenti molto pericolosi per tutto il Paese”.
Giorgio Paravano, presidente Associazione L’Aquila per la vita, ha annunciato: “Abbiamo deciso di lanciare un’idea, tassandoci noi per primi: quella di aprire un iban, un conto corrente dedicato perché la città possa rispondere coralmente a chi ha perso un figlio e si vede costretto a ripagare lo Stato. Nei prossimi giorni daremo conto di questa proposta collettiva, mi auguro che la città risponda in maniera corale e solidale”.
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