TERAMO: E’ SCONTRO SUL BIODIGESTORE. AMBIENTALISTI, “SITO CONTAMINATO”. TEAM, “DOPPIOPESISMO”

23 Marzo 2025 12:51

Teramo - Cronaca

TERAMO – E’ di nuovo scontro sul nuovo biodigestore di Teramo, la grande opera da 28 milioni di euro da realizzare al posto dell’ex inceneritore di contrada Carapollo.

“Il sito è contaminato e necessita di una bonifica preventiva”, dice l’associazione Ambiente e sicurezza città di Teramo, in una nota a firma della presidente Antonella D’Angelo Gallo. L’associazione dà battaglia da tempo sull’opera: ha anche presentato ricorso al Tar contro la localizzazione del progetto di cui è titolare la società in house del Comune Team (Teramo Ambiente).

Immediata la replica del presidente della Team Sergio Saccomandi: “Stupisce il doppiopesismo dell’associazione, che vanifica lo scopo ‘alto’ dell’opera, riducendola ad una avvilente manifestazione di prese di posizione che sfiorano i modi della tifoseria”.

In ballo c’è l’opera stessa. Finanziato dal Pnrr, infatti, il nuovo biodigestore – che produrrà biometano da sfalci e altri rifiuti organici – dovrà essere terminato entro metà  2026 pena la perdita dei fondi.

LA NOTA DELL’ASSOCIAZIONE

Oltre ai numerosi e rilevanti nodi già evidenziati in precedenza da questa Associazione, a rendere il quadro ancora più grave c’è la notizia ufficiale che il sito di Contrada Carapollo è contaminato e necessita di una bonifica preventiva, come l’Associazione aveva denunciato da tempo. È incredibile di come nessuno fino a oggi abbia parlato di questa circostanza, che cambia completamente lo scenario della situazione. Si è sempre detto che l’area era idonea, ma ora dalla documentazione agli atti emergono dati che dimostrano che il sottosuolo e la falda sono inquinati, e che prima di qualsiasi intervento si dovrà procedere a una Messa in Sicurezza di Emergenza, con un progetto ambientale obbligatorio che dovrà essere proposto dal Comune e approvato dagli enti competenti.

Questo significa tempi più lunghi, costi aggiuntivi e rischi ambientali ancora più alti. Come si può pensare di realizzare un impianto industriale su un terreno inquinato senza prima aver risolto e definito chiaramente il problema? Chi si assumerà la responsabilità delle eventuali conseguenze se questa bonifica non verrà fatta in modo corretto? Chi pagherà i costi, Team, il Comune o, come sempre, i cittadini?.





Alla luce di tutto ciò, la decisione da parte del Servizio Valutazioni Ambientali della Regione Abruzzo di escludere il progetto dalla procedura di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), provvedimento già oggetto di ricorso da parte dell’Associazione presso il Tar Lazio, appare ancora più scandalosa. Da quanto emerge dalla recente certificazione della contaminazione del sito, cosa che peraltro era già nota dal maggio 12024, quando Team ha presentato il progetto in Regione, ma che poi è stata abilmente sottaciuta, questa decisione appare ancora più ingiustificabile e pericolosa.

Come è possibile che un impianto così impattante, situato sopra terreni inquinati e una falda contaminata, a meno di 30 metri dal fiume, posto proprio sotto un calanco che il Piano di Assetto Idrogeologico (PAI) classifica come ad alto rischio di frana, in un’area percorsa ogni anno da vari incendi, non sia stato sottoposto a una rigorosa Valutazione di Impatto Ambientale tramite una procedura completa?

Con quale criterio si è deciso di escludere il progetto da tale procedimento, che avrebbe oltretutto garantito la partecipazione attiva dell’opinione pubblica nel delicato processo decisionale? La Regione ha commesso un errore gravissimo nel consentire questa esclusione, e il Comune e Team hanno fatto di tutto per far credere che la complessa procedura del Titolo V del D. Lgs 152/06, che riguarda la bonifica del sito, non interferisse con il procedimento di Valutazione Ambientale, quando invece è evidente che le due cose si influenzano a vicenda, come ampiamente denunciato dall’Associazione. Tutto questo dimostra che l’intero iter è stato costruito su forzature e omissioni, rilevate nel ricorso pendente dinanzi al Tribunale Amministrativo”.

Oltre a questo aspetto non secondario, esistono altri profili di illegittimità, già dettagliatamente denunciati dall’Associazione. Da un punto di vista paesaggistico, il problema principale riguarda la collocazione dell’impianto, che ricade interamente all’interno della fascia di rispetto fluviale, un vincolo che altrove sarebbe stato insuperabile, e che a Teramo viene invece forzato con arroganza e superficialità. In tutta Italia la normativa dispone che la distanza minima di rispetto dai corsi d’acqua è di 150 metri, ma qui l’impianto è distante dall’argine del Fiume Tordino solo 28 metri, mettendo a rischio l’ecosistema, la falda acquifera e la sicurezza idraulica dell’area.

Non bastasse questo, la vicenda della delibera della Giunta Municipale n. 350 del 10/09/2024, prontamente impugnata dall’Associazione presso il Tar Abruzzo, con la quale il Comune restringeva in maniera artificiosa il perimetro del centro abitato di Villa Pavone, è l’ennesima dimostrazione di come il Comune e la Team abbiano messo in atto ogni possibile escamotage per rendere il progetto realizzabile contro ogni regola: infatti i criteri localizzativi e di sicurezza imposti dalla normativa specificano che impianti di questo tipo non possano essere costruiti a meno di 500 metri dai centri abitati, e siccome il sito di Carapollo non rispettava questo vincolo, il Comune ha pensato bene di modificare il perimetro del centro abitato, restringendolo a tavolino ed escludendo una fascia importante di abitazioni, ponendo a base di tale atto pubblico premesse palesemente contraddittorie che celano un evidente paradosso: la restrizione è stata operata a fronte di un dichiarato “incremento della popolazione residente e conseguente espansione delle aree urbanizzate”.

Questa manovra, già di per sé discutibile, non è stata sufficiente. Anche con il nuovo perimetro, ottenuto in maniera irregolare, e proposta come illegittima dinanzi al TAR da questa Associazione, l’impianto continuava a essere troppo vicino alle abitazioni. Ecco allora la seconda trovata: escludere dal perimetro del progetto l’area dei parcheggi, pur essendo questa un’infrastruttura indispensabile e funzionale all’impianto stesso. In altre parole, si è creato artificiosamente un “vuoto” urbanistico, separando formalmente il parcheggio dall’area di impianto, così da guadagnare i metri necessari per rientrare nei parametri imposti come criterio “escludente” dal Piano Regionale dei Rifiuti. Un’operazione che solleva ulteriori perplessità sulla legittimità dell’intero iter autorizzativo. A tutto questo si aggiunge l’assurdità della corsa contro il tempo per rispettare le scadenze del Pnrr.

Come si può anche solo immaginare di realizzare un impianto del genere entro giugno 2026, quando ancora ci sono ricorsi pendenti, criticità ambientali irrisolte e problemi tecnici enormi? In poco più di un anno si dovrebbero ottenere tutte le pre-autorizzazioni e i pareri positivi dei molti enti coinvolti, tra cui Soprintendenza, ARTA, Servizio Gestione Rifiuti, Servizio Agricoltura e Foreste, Vigili del Fuoco, che hanno richiesto una quantità rilevante di integrazioni documentali, e quindi ottenere l’Autorizzazione Integrata Ambientale, per poi espletare una gara europea da quasi 30 milioni di euro, aggiudicarla, avviare il cantiere, sempre che non ci siano ulteriori ricorsi, e poi sbancare oltre 10.000 metri cubi di terreno di cui la maggior parte andrà smaltita in quanto inquinata, consolidare l’area e i calanchi con enormi colate di cemento, costruire il tutto, collaudare e avviare l’impianto.

Ma tutto questo non prima di aver redatto e approvato una procedura di MISE, un progetto di bonifica completo, eseguito la decontaminazione, demolito l’inceneritore e garantito la salubrità di terreni e falde. Si tratta di un cronoprogramma realistico, o di un azzardo che rischia di lasciare la città con un cantiere incompiuto e finanziamenti tagliati a metà strada? Eppure il sindaco continua a far credere ai cittadini che tutto sia perfettamente in regola e nei tempi. È chiaro che questo progetto non ha alcuna possibilità di rispettare le scadenze del PNRR, e che si sta rischiando di avviare un’opera senza le necessarie garanzie di sicurezza e fattibilità.





L’Associazione Ambiente e Sicurezza Città di Teramo chiede che il sindaco si assuma le proprie responsabilità e fermi immediatamente questo progetto e tutti gli impegni economici e le spese connesse, che ammontano per la sola fase di progettazione ad oltre ottocentomila euro, che ad oggi sono già interamente dovuti agli studi professionali incaricati. La bonifica di Contrada Carapollo a questo punto deve diventare la priorità assoluta, e va chiarito se i finanziamenti del PNRR potranno coprire questo intervento, anche se il biodigestore, come è ormai chiaro, non vedrà mai la luce. Si ritiene inoltre utile trasmettere l’atto di determina di affidamento degli incarichi professionali per la fase di studio e progettazione, con impegno di spesa già individuato.

LA NOTA DELLA TEAM

Stupisce e non poco l’attenzione che una neonata associazione ambientalista continua a dedicare al progetto del biodigestore di Teramo, impianto di straordinaria importanza nella futura gestione dell’intero ciclo dei rifiuti, riconosciuta anche dalla stessa approvazione di un finanziamento Pnrr di quasi 30 milioni di euro.

Stupisce, ovviamente, non per lo scopo “alto”, che è la difesa dell’ambiente, ovvero la ragione stessa di esistenza della TeAm (quasi 75% di raccolta differenziata), ma per la curiosa interpretazione che l’associazione ne offre, con un doppiopesismo che ne vanifica lo scopo “alto” riducendola ad una avvilente manifestazione di prese di posizione che sfiorano i modi della tifoseria.

Com’è possibile, infatti, che quello stesso impianto che a Teramo viene considerato dall’associazione una “bomba ecologica”, A Mosciano divenga invece un utile supporto alla gestione dei rifiuti?

Com’è possibile che un impianto, che a Teramo sarà di propiretà e gestione pubblica, con gli intuibili effetti positivi sia nella gestione dei rifiuti sia nei costi che sostengono le famiglie teramane, sia “pericoloso” mentre quello di proprietà e gestione privata, che produce effetti positivi solo sul bilancio aziendale e per le famiglie degli imprenditori proprietari, sia invece una soluzione efficace?

Stupisce anche il fatto che, nell’interpretazione dell’ambiente da difendere, l’associazione manifesti timori solo per il progetto futuro e non gli evidentissimi danni di un passato, che ha lasciato in eredità alla Teramo di oggi un inceneritore dismesso e un sito compromesso, che proprio grazie alla costruzione del nuovo biodigestore, sarà riqualificato.

Non stupisce, invece, l’affannosa ricerca di visibilità, la rincorsa al clamore sui social, l’allarmismi ad uso del web, che sembra essere lo scopo primo di un’associaizone che, nel tentativo di precorrere i tempi, diffonde oggi un comunicato datato 24 marzo.

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