SUL FRONTE DELLA SECONDA ONDATA COVID: LONTANO TARGET DEL GOVERNO DI 14 POSTI OGNI 100 MILA ABITANTI; BENE SOLO VENETO, VAL D'AOSTA E FRIULI VENEZIA GIULIA, MALISSIMO CAMPANIA E UMBRIA; IN REGIONE SI E' PASSATI DA 123 T.I. DI GENNAIO A 133, OBIETTIVO ERA AUMENTO DI 66, ORA PERO' DIVENTA OPERATIVO PIANO SANITARIO CON MARSILIO COMMISSARIO

TERAPIE INTENSIVE, IN ABRUZZO ANCORA INSUFFICIENTI: SOLO TRE REGIONI PRONTE A SCENARIO PEGGIORE EPIDEMIA

di Filippo Tronca

14 Ottobre 2020 08:10

Regione - Abruzzo, Sanità

L’AQUILA – A cinque mesi dal decreto Rilancio, sono stati creati soltanto il 30 per cento dei posti letto in più previsti per le terapie intensive e solo tre regioni, Veneto, Valle d’Aosta e Friuli Venezia Giulia, sono sopra lo standard ottimale di 14 posti letto per 100mila abitanti, fissato dal governo in vista di una seconda ondata dell’epidemia da coronavirus.

Anche l’Abruzzo è sotto la soglia di sicurezza, avendo “solo” 10 posti ogni 100mila abitanti, passando dalle 123 terapie intensive precedenti l’emergenza covid, alle attuali 133.

Ma l’obiettivo era di realizzarne non 10, ma 66 in più, per garantire una risposta efficace in caso di seconda ondata dell’epidemia, che seppure meno aggressiva, è purtroppo arrivata. Solo una parte delle terapie intensive, 40 di numero, previste nel nuovo reparto Covid dell’ospedale di Pescara, realizzato in tempi record al costo di 11 milioni di euro, sono del resto state attivate.

La situazione nazionale, aggiornata a ieri 13 ottobre, relativa ai posti attivati di terapia intensiva, emerge da un’elaborazione di Quotidiano Sanità sui numeri del report del commissario per l’Emergenza Domenico Arcuri sullo stato di avanzamento dei lavori di potenziamento del Sistema sanitario nazionale.

A maggio l’esecutivo con il decreto Rilancio ha stanziato 1,4 miliardi di euro per il potenziamento degli ospedali, di cui 606 milioni per potenziare proprio le terapie intensive con un incremento di 3.500 posti che porterebbero la dotazione nazionale a 8.679 posti e altri 601 per le terapie sub intensive con un incremento di 4.225 posti.

Ebbene, mentre per le terapie sub intensive gli interventi attuati hanno di fatto superato quanto stabilito (sono stati realizzati ben 7.670 posti per un totale della dotazione nazionale che ha raggiunto i 14.195 posti), per la terapia intensiva il risultato è assai più magro.

Al 9 ottobre, rispetto ai 5.179 posti pre-covid ne sono stati realizzati, infatti, 1.259, appena un terzo rispetto ai 3.500 per cui sono stati predisposti i finanziamenti.

Va detto che ogni posto di terapia intensiva comporta l’utilizzo di quattro addetti, dunque il problema non è solo l’apparecchiatura tecnologica, ma il personale.





Lo stesso Arcuri giorni fa ha rilanciato l’obiettivo dei  3500 posti stabili in più in terapia intensiva spiegando che è stata conclusa l’offerta per le attrezzature e redatto 21 accordi quadro per 600 interventi civili, spesso piccoli, alcuni dei quali potranno iniziare già dal prossimo mese.

Arcuri ha poi nominato il 9 ottobre il presidente della Regione Abruzzo, Marco Marsilio, commissario delegato per l’attuazione degli interventi finalizzati alla realizzazione delle opere previste nel piano regionale di riordino della rete ospedaliera approvato dal Ministero della Salute. Che prevede in primis il potenziamento dei posti letto, dei posti in terapia intensiva, gli adeguamenti dei pronti soccorsi e per la separazione dei percorsi.

Intanto però la seconda ondata, numeri dei casi positivi alla mano, è già arrivata, per fortuna meno letale e con un numero elevato di asintomatici che non hanno bisogno di ricoveri e cure. E tenuto conto che si fanno molti più tamponi rispetto al periodo febbraio-maggio.

Non va però dimenticato che la terapia intensiva è indispensabile non solo per i malati covid, ma anche per infarti e ictus, interventi chirurgici invasivi o ancora gravi eventi traumatici come gli incidenti stradali e le gravi polmoniti, solo per citarne alcuni.

Lo scopo della terapia intensiva è, infatti, quello di stabilizzare le funzioni vitali dei pazienti gravi – la cui vita è in pericolo immediato – e permettere il successivo trasferimento in reparti meno intensivi, ma specializzati nel trattamento della singola patologia. Il tutto avviene grazie ad un monitoraggio avanzato del paziente (7 giorni su 7, 24 ore su 24) e all’utilizzo di tecnologie che supportano in primo luogo le funzioni respiratorie e cardiocircolatorie.

Accade dunque che in Italia tornano ad aumentare, giorno dopo giorno, i pazienti covid in gravi condizioni che devono essere “intubati”:  l’altro ieri più 32,  ieri più 62 con totale a  514.

Mentre nei reparti ordinari sono occupati 255 posti letto in più rispetto a lunedì (quando l’incremento era stato di 302), 5.076 in tutto.

Anche in Abruzzo si è registrato un brusco aumento dei ricoveri nel giro di due settimane: il numero dei pazienti in ospedale è triplicato, passando dalle 56 unità del 29 settembre alle 161 di ieri, con un aumento del 187% circa. Si registra un rapido incremento delle terapie intensive, che sono aumentate di quattro volte, passando da 4 a 15 (+275%).

Il totale ad oggi resta di 6.458 letti.





Si è quasi ovunque lontani dallo standard di 14 posti letto per 100mila abitanti, considerato ottimale dalla task force di esperti, per far fronte allo scenario peggiore di una nuova ondata di contagi covid, e nello stesso tempo per garantire tutte le altre cure urgenti per così dire “ordinarie”

A centrare l’obiettivo, come detto il Veneto, tra le regioni più colpite dalla prima ondata di epidemia a marzo, aprile e maggio: aveva 494 posti di terapia intensiva, ora ne ha 825, andando oltre i 211 posti di target, avendone aggiunti beni 331, che equivale a 16,8 posti ogni 100mila abitanti.

Bene anche la Val d’Aosta passata da 10  a 20 posti letto, ovvero 15,9 ogni 100mila abitanti, e ancora il Friuli Venezia Giulia, da 120 a 175 posti (14,4).

Sotto la soglia di sicurezza tutte le altre regioni, ma si avvicinano al target la Liguria, da 180 a 209 posti (13,4 ogni 100mila abitanti), la Basilicata, da 49 a 73 (12,9), il Lazio, da 571 a 747 (12,7).

Drammaticamente indietro sono in primis la Campania, passata da 335 a 427 posti, a fronte dell’obiettivo di aumentare i posti di 499 unità, e che ora sono solo 7,3 ogni 100 mila abitanti.

E ancora l’Umbria, che è rimasta con i suoi 70 posti senza aggiungerne uno in più e ora ne ha 7,9 ogni 100 mila abitanti. a seguire tra le regioni “canaglia” le Marche (8,3 posti letto ogni 100mila abitanti), il Piemonte (8,4), la Puglia (9), e, notizia sorprendente la Lombardia che pure è stata la regione più colpita dal vocid-19 in Italia: prima dell’emergenza aveva 861 posti, ora ne ha 983, ovvero 122 in più quando l’obiettivo era di più 585 posti. Ogni 100 abitanti insomma sono disponibili 9,8 posti.

La speranza insomma è che il virus abbia davvero perso la sua potenza e letalità, e che i posti programmati in base a precisi calcoli di potenziale fabbisogno non serviranno, senza dover rivivere il dramma di primavera, quando i medici sul fronte della pandemia erano costretti a decidere tra più pazienti in gravissime condizione destinare alle poche e del tutto insufficienti terapie intensive a disposizione. Dovendo decidere insomma chi far vivere e chi lasciar morire.

“Sui ritardi  – spiega Quotidiano sanità – pesa certamente il sistema di regole messe in campo. Ogni Regione ha dovuto presentare un piano al Ministero della Salute. Dopo l’ok da Lungotevere Ripa la palla poi è passata al commissario per l’Emergenza. A quel punto c’è stato un confronto con le Regioni per l’attuazione dei lavori (il bando si è chiuso solo l’8 ottobre). Ad oggi sono 9 regioni che hanno ricevuto la delega da Arcuri per iniziare le opere. Per le altre si è ancora in attesa dei cronoprogrammi e del piano di governance. Insomma, a 5 mesi distanza la maggior parte dei cantieri non è ancora partito”.

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