TERRENI DEMANIALI OCCUPATI ALL’AQUILA: LA CASSAZIONE, “270MILA EURO AL COMUNE”

di Gianpiero Giancarli

24 Marzo 2025 09:57

L'Aquila - Cronaca

L’AQUILA – La Corte di Cassazione, respingendo un ricorso per inammissibilità, ha condannato tre persone a risarcire il Comune dell’Aquila con quasi 300mila euro, per aver occupato per decenni l’area demaniale di Vio Spitillo, presso Campotosto, ma  di proprietà  del capoluogo di regione. La causa fu avviata dall’ente 20 anni fa.

Il canone, secondo la Cassazione era stato pagato dai tre ma in maniera parziale. Si tratta della terza sentenza su questo caso dopo che i ricorrenti, pur in buona fede, erano stati condannati dal tribunale civile a oltre 300 mila euro con il rilascio delle aree  anche se  poi la Corte territoriale ha ridotto l’ammontare a quasi 270mila euro. A fine febbraio  2025 c’è stata la sentenza della Cassazione presieduta dal giudice Raffaele Gaetano Antonio Frasca mentre il relatore è stato il collega Francesco Maria Cirillo.

“Svolta l’istruttoria con acquisizione di documenti ed espletamento di una c.t.u.,” si legge nella lunghissima motivazione (di cui riportiamo stralci essenziali) che ripercorre la storia dal 1993, “il Tribunale accolse la domanda, condannò i convenuti al rilascio dei terreni e al risarcimento dei danni liquidati in euro 310.242,82, nonché al pagamento delle spese di giudizio. La sentenza è stata impugnata dai convenuti soccombenti e la Corte d’appello, con sentenza del 25 luglio 2019, in parziale accoglimento del gravame, ha ridotto l’entità della condanna a carico degli appellanti alla minore somma di euro 268.521,06, compensando le spese di entrambi i gradi nella misura di un quarto e ponendo a carico degli appellanti gli altri tre quarti”.





“Ha osservato la Corte territoriale, innanzitutto, che doveva essere rigettata l’eccezione di nullità dell’atto di citazione, posto che dagli atti emergeva in modo chiaro che il Comune aveva agito per porre fine all’illegittima condotta degli appellanti . La Corte d’appello ha poi respinto sia l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario sia l’eccezione di incompetenza, rilevando che la natura demaniale del predio occupato e l’oggetto del giudizio non implicavano «un accertamento positivo o negativo di rapporti soggetti alla normativa in materia di contratti agrari»; tanto più che gli stessi appellanti avevano affermato, a sostegno delle loro ragioni, di essere assegnatari di parte dei terreni, il che dimostrava l’estraneità della vicenda rispetto ai contratti agrari”.

“Ciò premesso, la Corte abruzzese ha osservato che non vi era alcuna prova – contrariamente a quanto sostenuto dagli appellanti – dell’esistenza di un rapporto di pascipascolo, anche perché risultava dagli atti che gli Antonelli «avevano avuto in assegnazione, ciascuno per una parte, il predio di Vio Spitillo». Tale assegnazione, però, risaliva all’anno 2001, mentre l’occupazione abusiva aveva avuto inizio nel 1993 e si era protratta per diversi anni; ed era pacifico, d’altra parte, che «fino ai provvedimenti di assegnazione temporanea nessuna somma era stata versata al Comune dagli occupanti».

“Contro la sentenza della Corte d’appello”, si legge ancora nella motivazione, “hanno proposto ricorso Cesare, Giuseppe e Sandro Antonelli. Il Comune dell’Aquila non ha svolto attività difensiva in questa sede”.

“Nel ricorso”, dicono i giudici,” si lamenta, violazione e falsa applicazione di articoli di legge  in relazione alla determinazione dell’oggetto del giudizio. I ricorrenti ricordano di aver sempre sostenuto, fin dal giudizio di primo grado, di utilizzare individualmente parti dei terreni in questione, sulla base di «regolari concessioni amministrative quinquennali» tuttora in corso. Ne consegue che i giudici di merito Corte di Cassazione avrebbero dovuto valutare anche il legittimo affidamento delle zone di pascolo, mentre nella decisione essi avevano tenuto conto solo della domanda e non anche delle eccezioni dei convenuti, con conseguente violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.  Il motivo è inammissibile per una serie di concorrenti ragioni. La Corte osserva, innanzitutto, che esso è formulato con una tecnica non rispettosa dal momento che non riproduce, né direttamente né indirettamente, quale sia il contenuto delle pretese eccezioni non esaminate e si limita a richiamare una serie di atti senza indicare se, come e dove siano stati messi a disposizione di questa Corte”.





“La censura, peraltro, è inammissibile anche a prescindere dalle carenze ora indicate, perché dimostra di non cogliere la ratio decidendi della sentenza impugnata la quale, contrariamente a quanto sostengono gli appellanti, ha esaminato e tenuto in considerazione tutti gli elementi asseritamente omessi. I ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente rigettato l’eccezione di incompetenza sollevata in relazione alla presunta competenza della Sezione specializzata agraria, mentre la sussistenza di contratti di pascipascolo avrebbe dovuto essere tenuta in considerazione a tali fini.  Il motivo è inammissibile per una serie di concorrenti ragioni”.

“La Corte osserva, innanzitutto, che esso è formulato con una tecnica non rispettosa dell’art. 366, primo comma, n. 6), cod. proc. civ., dal momento che richiama atti e documenti senza indicare se, come e dove siano stati messi a disposizione di questa Corte. Oltre a ciò, anche questo motivo dimostra di non cogliere la ratio decidendi della sentenza impugnata la quale, contrariamente a quanto sostengono gli appellanti, ha esaminato e spiegato, con argomentazioni corrette e prive di vizi logici, le ragioni per le quali ha ritenuto non fondata l’eccezione di incompetenza e inesistente il contratto di pascipascolo. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta la presunta nullità dell’atto di citazione. I ricorrenti rilevano che la Corte d’appello avrebbe errato nell’affermare l’inesistenza del vizio di nullità dell’atto di citazione  eccepito  dal primo grado”.

“La nullità deriverebbe, invece, dal fatto che nell’atto di citazione non era stato spiegato se «la pretesa avanzata era basata sul rapporto concessorio intercorrente tra le parti o su una occupazione di fatto e abusiva». I vizi dell’atto di citazione, che i ricorrenti definiscono come «evidenti», non avrebbero potuto essere eliminati con la semplice e generica affermazione secondo cui era chiara la finalità del Comune di porre fine ad un’occupazione illegittima. Il motivo è inammissibile per una serie di concorrenti ragioni”. Fermo restando, anche in relazione a questo motivo, il rilievo di inammissibilità derivante dalla redazione del ricorso con una tecnica non rispettosa dell’art. 366, primo comma, n. 6), cod. proc. civ., la Corte osserva che la censura non si misura con l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata la quale, contrariamente a quanto sostengono gli appellanti, ha spiegato chiaramente le ragioni per le quali l’atto di citazione non poteva essere considerato nullo, dal momento che in esso erano chiaramente spiegati quali fossero il petitum e la causa petendi della domanda avanzata in primo grado dal Comune del’Aquila”.

“I ricorrenti osservano che il Comune non avrebbe mai dato prova del fatto che essi avevano utilizzato i fabbricati aziendali (inagibili) e che potessero usufruire dei pascoli. A fronte di un’esplicita eccezione in tal senso, il Comune non avrebbe contestato tali fatti. La sentenza, poi, avrebbe ritenuto dimostrata la circostanza dell’occupazione dei capannoni da parte dei ricorrenti sulla base delle sole affermazioni del c.t.u., non considerando che la consulenza tecnica non è un mezzo di prova.  Il motivo è inammissibile per una serie di concorrenti ragioni. La Corte osserva che le censure ivi prospettate, oltre ad essere del tutto generiche nella loro formulazione, non indicano in alcun modo quali sarebbero le eccezioni formulate e non contestate, senza contare che gli stessi ricorrenti sostanzialmente riconosconodi aver occupato i terreni già dal 1993, il che significa che la censura è posta in modo evidentemente capzioso. Si tratta, comunque, di un tentativo di ottenere in questa sede un diverso e non consentito esame del merito”.

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