TRA TASSE INCASSATE E SPESA PASSIVO DI 2,1 MILIARDI: AUTONOMIA DIFFERENZIATA, INCOGNITA ABRUZZO

di Filippo Tronca

17 Maggio 2023 08:17

Regione - Economia

L’AQUILA – Per il ministro leghista Roberto Calderoli, padre del pdl che intende trasferire competenze e relative entrate fiscali dallo Stato alle Regioni, l’autonomia differenziata porterà l’Italia “a correre come un treno ad alta velocità, valorizzando le differenti eccellenze di ciascun territorio con l’obiettivo di ridurre i divari attuali che il centralismo ha generato”, e chi “si ostina a dire che l’autonomia spacca il Paese e aumenta il gap tra nord e sud, continuo a rispondere che proprio questa riforma può essere la soluzione alle sperequazioni attuali”.

La speranza che sia davvero così: giova però anche riflettere su uno studio, commissionato ad uno staff di economisti da Angelo Orlando, ex parlamentare e consigliere regionale presidente della prima commissione Bilancio, qui pubblicato da Abruzzoweb, sulla differenza delle entrate delle singole Regioni, grazie ai tributi diretti e indiretti, come Iva, addizionale Irpef e Irap, e il fabbisogno delle stesse Regioni.

Ebbene, il calcolo restituisce per l’Abruzzo un passivo di ben 2 miliardi e 115 milioni di euro circa.  Per arrivare al fabbisogno annuo di circa 6 miliardi, servono a maggior ragione come il pane i trasferimenti dello Stato centrale, attingendo dalla cassa comune, rimpinguato oggi da tutte le Regioni, e redistribuito.

Una situazione simile, quella dell’Abruzzo, a quasi tutte le altre regioni, se si fa eccezione della Lombardia ed Emilia Romagna, in attivo, e il Veneto, che ha un piccolo passivo. Putacaso le tre regioni più avanti nel progetto autonomista.  Ma in totale per tutte le regioni la differenza in negativo tra quello che spendono e quello che incassano in proprio è di 31 miliardi e 679 milioni. Una cifra, quella delle entrate fiscali incassati dalla Regione Abruzzo, che si è poi mantenuta dal 2015 sempre intorno ai 2 miliardi di euro, tranne nel 2016, quando è scesa a 1,6 miliardi, e nel 2019, a 1,5 miliardi.

Ed è questo il vero cuore del problema dell’autonomia differenziata, che tanto accende gli animi con centrosinistra e sindacati sul piede di guerra: in uno scenario di massima autonomia, se le Regioni più ricche si terranno molti più soldi da loro incassati, questo l’argomento principe, da spendere a loro esclusivo vantaggio, inevitabilmente la cassa comune dello Stato si prosciugherà. Cassa da cui l’Abruzzo deve attingere, non essendo autosufficiente, per far funzionare sanità, i trasporti, la macchina amministrativa, l’istruzione, per finanziare il sociale, la cultura, piccole grandi opere pubbliche e così via.





Il Tesoro infatti si troverebbe ad avere 112 miliardi di euro in meno, secondo stime basate sui dati pubblicati dalla Regione Veneto sul sito dedicato all’Autonomia differenziata, che salgono a 190 miliardi, secondo i calcoli elaborati da Svimez.

L’idea superficiale, secondo la quale, nell’autonom​i​a differenziata, le Regioni si terranno i soldi incassati per gestire in proprio una serie di competenze della pubblica amministrazione servizi, dinanzi a questi prospetti numerici lasciano il tempo che trovano:  al limite potrebbero solo in parte ambire a farlo la Lombardia e l’Emilia Romagna, tutte le altre regioni sono già un forte passivo tra entrate e fabbisogno.

Il ddl Calderoli, per questa ragione, prevede una perequazione, una compensazione, attraverso il procedimento di determinazione dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep) concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale dalla Costituzione.

E a tal fine  la legge di bilancio 2023 ha istituito una Cabina di regia, composta da tutti i ministri competenti, che dovrà provvedere a una ricognizione del quadro normativo in relazione a ciascuna funzione amministrativa statale e delle Regioni ordinarie, con successiva individuazione delle materie o ambiti di materie riferibili ai livelli essenziali, estesa alla spesa storica a carattere permanente dell’ultimo triennio, sostenuta dallo Stato sul territorio di ogni Regione, per ciascuna propria funzione amministrativa.

La situazione dell’Abruzzo, come detto, è simile a quella di quasi tutte le regioni italiane, ad eccezione, guarda caso, di  Lombardia, che ha un attivo di 2,6 miliardi, Emilia Romagna, di 698 milioni di euro, e anche Veneto, che ha un passivo di soltanto 200 milioni, poca cosa rispetto alle dimensioni e popolazione del suo territorio. Le tre tre regioni che a febbraio 2018 hanno sottoscritto tre differenti accordi preliminari sul regionalismo differenziato con il governo di Paolo Gentiloni. L’Emilia Romagna, in mano al centrosinistra, ha poi fatto un passo indietro.

Le regioni con i passivi più alti, tra entrate e fabbisogni, sono invece il Lazio, 11 miliardi e 367.467 milioni Campania, 7 miliardi e 835.487 milioni, Puglia, 4 miliardi e 864.353 milioni, Calabria, 2 miliardi e 657.205 milioni.

Il fronte contrario taccia l’autonomia differenziata di essere solo una “secessione soft” delle regioni ricche del Nord, che spaccherà l’Italia tra regioni di serie A e di serie B, e obietta che non è per niente chiaro, ed anzi oscuro, il dove e come si prenderanno i soldi per garantire pari dignità e livello di servizi in tutte le regioni.





Nello scenario dell’autonomia differenziata, ci sarà infatti una crescita del bilancio regionale ed un ridimensionamento di quello statale, per via della diversa allocazione del gettito fiscale.

E dunque, se il bilancio dello Stato si ridimensiona, come farà quest’ultimo a garantire i diritti su tutto il territorio nazionale?

Alberto Zanardi, ex responsabile ufficio parlamentare del Bilancio, sulla Voce.info non ha dubbi: “cosa accadrà se la stima dei Lep per le regioni che stipulano le intese conduce a un fabbisogno di risorse superiore a quelle attualmente impiegate dallo Stato, la cosiddetta ‘spesa storica’,  per fornire gli stessi servizi nella regione? In questo caso, prendendo alla lettera il ddl di Calderoli, le risorse aggiuntive rispetto allo storico dovranno essere trovate all’interno del bilancio dello Stato, aumentando le aliquote sui tributi erariali o riducendo la spesa dello stato da qualche altra parte”.

Ovvero, per definire e per garantire i lep  in tutta la nazione, lo stato dovrà  ridurre la spesa pubblica,  aumentare le tasse o incrementare il debito.

Ma prosegue Zanardi: “aumentare le tasse sembra assai difficile vista la già elevata pressione fiscale ed è comunque in conflitto con la filosofia del governo di centrodestra. Dunque, si dovrebbe ridurre la spesa. Ma quale spesa? Sempre sulla base del ddl Calderoli, la spesa per i Lep nelle altre regioni non può essere ridotta. Dunque, lo Stato dovrebbe agire sulla propria spesa residua, le funzioni di competenza esclusiva elencate al primo comma dell’articolo 117 della Costituzione. Ma queste includono servizi assai rilevanti quali giustizia, previdenza sociale, ordine pubblico e sicurezza, perequazione delle risorse finanziarie”.

Intanto l’iter procede: i 61 esperti del Comitato per i Lep nominati dal ministro Roberto Calderoli si sono riuniti martedì, alla presenza del Ragioniere generale dello Stato Biagio Mazzotta, e vanno avanti i lavori in Senato sul ddl Calderoli.  La Commissione Affari Costituzionali ha anche deciso che, prima di procedere, sarà necessario scattare una “fotografia” su quali servizi, con quale efficienza e con quali costi, le Regioni erogano.

 

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