TURISMO, SMART CITY E GENTRIFICAZIONE. SEMI, “L’AQUILA RISCHIA DI ESSERE PER POCHI”

INTERVISTA A SOCIOLOGO E DOCENTE UNIVERSITA' TORINO, "CENTRI STORICI CHE SI RIEMPIONO DI B&B E SI SVUOTANO DI CITTADINI PUNTANDO SU MONOCULTURA ACCOGLIENZA NON HANNO FUTURO", "RICOSTRUZIONE 2009 RAPPRESENTA GRANDE RIQUALIFICAZIONE URBANA. CON INNOVAZIONI TECNOLOGICHE AFFITTI E SERVIZI AUMENTERANNO DI COSTO, IN PROSPETTIVA CITTA' ACCESSIBILE SOLO A CHI HA ALTO REDDITO".

di Filippo Tronca

14 Aprile 2021 07:20

L'Aquila - Abruzzo, Terremoto e Ricostruzione

L’AQUILA – “Una città dove è bello vivere e che vale lo sforzo di essere ricostruita, come nel caso dell’Aquila, è quella nei cui centri storici convivono tutte le classi sociali, una città che tutti si possono permettere economicamente, che ha la qualità della serendipity, che significa trovare una cosa mentre se ne sta cercando un’altra, che offre esperienze casuali e sorprendenti, non preconfezionate e artificiose. È l’opposto di una città museo, di una città Disneyland a misura dei turisti, di una smart city per pochi abbienti, estremamente fragile nella sua economia, come la pandemia ha reso evidente”.

I concetti elaborati nel lontano 2015 da Giovanni Semi, 45enne veneziano, docente al Dipartimento di Culture, politica e società dell’Università di Torino, nel fortunato libro Gentrification. Tutte le città come Disneyland? e coautore di Casa dolce casa?, tornano oggi potentemente di attualità, quasi profetici, dopo che l’epidemia planetaria del Covid-19 non solo ha mietuto 2,8 milioni di vittime nel mondo, ma ha anche reso evidente come le città che hanno puntato tutto o quasi sul turismo, riempiendosi di b&b e ristorantini con menu multilingua, negozi di souvenir e boutique alla moda, svuotandosi di cittadini residenti, sono quelle che subiscono ora la crisi più profonda.

Una questione che riguarda in una certa misura anche L’Aquila, dove, dal terremoto del 6 aprile 2009 e dai suoi 309 morti, si è spesso detto di dover puntare a diventare una “Cortina d’Ampezzo degli Appennini”, un salotto di Roma Capitale, una smart city all’avanguardia e una Silicon Valley all’italiana, fucina di startup e intelligenza, ma siamo ancora in buona parte alla fase delle suggestioni da convegno e al wishful thinking da campagna elettorale.

È però in ogni modo istruttivo,  per comprendere ora cosa potrebbe accadere se queste strade saranno davvero percorse fino in fondo, prendere sul serio il concetto di gentrificazione, di cui Semi è uno dei massimi esperti: il fenomeno che fa sì che una città, o meglio ancora, il centro storico e o determinati quartieri, diventano oggetto, magari dopo un abbandono e una successiva riscoperta, di massicce riqualificazioni urbane, dal punto di vista architettonico e tecnologico. Aree della città che poi fatalmente da popolari diventano trendy, alla moda, preda del turismo di massa, e che assistono fatalmente all’espulsione di chi ci viveva e lavorava da generazioni, in quanto si genera una spirale speculativa che fa schizzare in alto il costo degli affitti e quello in generale della vita. E così la città diventa un luna park per turisti e una enclave esclusiva per ricchi, con tutto il commercio e i servizi pensati attorno alle loro esigenze.

Qualcosa di simile è già accaduto in tante città del mondo, comprese diverse in Italia, si pensi solo a Venezia: un destino che potrebbe toccare in sorte anche all’Aquila, come beffardo risultato di oltre 12 miliardi, di tutti i cittadini, spesi per ricostruirla.

“La gentrificazione ha due facce – spiega il professor Semi -, a seconda dei punti di vista e degli attori in campo. Per chi non riesce a stare dietro all’aumento del costo della vita, significa essere prima o poi sfrattati, espulsi dal luogo dove si viveva, ed essere costretti ad andarsene o a restare in periferia. E dunque ha una accezione negativa, in base al principio che tutti dovrebbero avere il diritto di poter vivere in un centro storico, in un quartiere che rappresenta l’identità e la storia di una città. Dal punto di vista invece di chi ha una forte disponibilità economica, la gentrificazione assume una accezione positiva e desiderabile, perché significa poter godere, nelle aree più esclusive e belle di una città, di una altissima qualità della vita da tutti i punti di vista. Per architetti e costruttori, la gentrificazione è una cosa meravigliosa, perché è occasione di grandi opportunità e ottimi affari”.

Parole, quelle di di Semi,  che suonano come un oscuro presagio, passeggiando per il centro storico dell’Aquila dove la  ricostruzione è a buon punto. Palazzi splendidamente restaurati, molto più belli, sicuri e funzionali rispetto a quello che erano prima del sisma, e vie e strade che si riempiono di locali serali della movida, come è giusto che sia. Gli abitanti sono ancora pochi, ma si pensa, prima poi, che queste case si riempiranno nuovamente. Quel che è certo è che sono spariti, con le dovute eccezioni, quasi del tutto i bar sotto casa, tutto fuorché “fighetti” e non concepiti da un interior designer,  dove i vecchi giocavano a carte e dove potevi incontrare a tutte le ore i vicini di casa e personaggi pittoreschi. Come pure sono sparite bettole e cantine, gli alimentari sotto casa, gli empori con un po’ di tutto e a basso costo, le trattorie a conduzione familiare, rimpiazzate da ristoranti gourmet aspiranti stellati dai ricercatissimi menù, che puntano ad un target medio-alto. Si insediano banche, profumerie, gioiellerie, boutique alla moda e agenzie immobiliari. Ma non c’è quasi più traccia di un ferramenta, di un calzolaio, di un piccolo artigiano, di una falegnameria e di una officina meccanica.





“Il terremoto del 6 aprile 2009 –  spiega quindi Semi – devastando il centro storico e imponendo la realizzazione di nuovi quartieri, quelli del progetto C.a.s.e, per ospitare decine migliaia di sfollati, ha determinato di fatto un processo sub-urbanizzazione, che è tipico della gentrificazione, ovvero l’uscita dal centro storico a cui segue poi una ‘ricolonizzazione’, ma per pochi. A ben vedere, però, era un processo già in atto prima del terremoto. Non è stato un caso che siano morti tanti studenti sotto le macerie la notte del 6 aprile 2009, il centro storico era abitato in buona parte da loro, e molti aquilani già avevano oltrepassato le mura urbiche per andare a vivere altrove, magari affittando la loro abitazione in centro”.

Va detto che ad oggi il costo degli affitti, la vera leva della gentrificazione, è all’Aquila più o meno ancora accessibile, visto l’eccesso di offerta rispetto alla domanda effettiva. Ma sarà così anche in futuro, quando il mercato immobiliare si riprenderà e tornerà alle sue dinamiche fisiologiche e parametrate all’alto livello del patrimonio edilizio post-sismico?

“Con l’importante riqualificazione urbana realizzata all’Aquila – prosegue dunque il docente -, grazie ai fondi massicci della ricostruzione post-sisma, questo processo tenderà ad accentuarsi: credo che non vedremo mai più tornare in centro storico le classi popolari e parte del ceto medio ora impoverito dalla crisi economica determinata dalla pandemia. La tendenza, che già si avverte, comune a quella di tante altre città è quella che va verso una città per studenti e turisti, piena di bed&breakfast, ristoranti, locali notturni, negozi pensati non per i residenti. Un centro storico che sarà in termini di residenzialità ad appannaggio di persone con alto reddito, man mano che i prezzi delle case torneranno a crescere. E se un effetto della gentrificazione che si è registrata ovunque nel mondo è la creazione di una città duale, ossia centro per i turisti e i ricchi, periferia per il ceto medio e i poveri – osserva Semi- questo, all’Aquila, ha già assunto la forma urbana della polarità tra quartieri post-sismici del Progetto C.a.s.e. e città vecchia. In prospettiva, va anche considerato che i nuovi quartieri periferici, come avvenuto altrove, rischiano di trasformarsi in ghetti, in città di serie B”.

Quartieri del progetto C.a.s.e., va aggiunto, che sono già ora gli unici che si possono permettere, per i bassi costi, le nuove generazioni precarie e sottopagate in una sempre più ampia fascia di popolazione impoverita.

Potente leva della gentrificazione è il turismo, e il libro di Semi analizza a fondo un gran numero di esempi, da Venezia a Barcellona, da Londra a New York, passando per Firenze, Roma e Milano. Lettura ancor più feconda di riflessioni ora che i centri storici delle città d’arte, che troppo hanno puntato sul turismo e accoglienza, sono in crisi. Solo in questo weekend di Pasqua, zona rossa causa emergenza Covid-19 e con spostamenti vietati, Roma, “orfana” di 950 mila presenze di visitatori, ha subito un danno economico di circa 200 milioni di euro. A Milano, i cui flussi turistici hanno registrato un boom negli ultimi anni, si registrano circa 200 mila presenze in meno in questi giorni di festa e una perdita di circa 50 milioni di euro.

Ben venga il turismo, sottolinea Semi, “Ma quello da evitare è il destino toccato a tante altre città occidentali, trasformate in una sorta di Disneyland, di outlet, privi di anima, residenza e quotidianità. In una parola, di verità. La monocultura, in agricoltura come in economia e nell’urbanistica, va in ogni modo evitata”.

“Il turismo non è quella manna dal cielo che si vuol far credere – assicura il sociologo -: è un’economia che non crea posti di lavoro capaci di dare una prospettiva florida ad una comunità. È caratterizzata da un scarsa redistribuzione della ricchezza. L’occupazione creata dal turismo ha infatti prevalentemente una bassa qualificazione e remunerazione, è stagionale, connotata anche da scarse tutele e diritti. È una economia che muove molti soldi, ma resta complessivamente una economia povera”.

Riflessioni, suffragate da numeri e anni di ricerche sul campo, che dovrebbero essere tenute a mente da parte di chi per L’Aquila “che tornerà a volare” esalta il turismo come vocazione cardine, mai sfruttata in tutte le sue potenzialità .





“La pandemia ha reso evidente quanto sia fragile la monocultura turistica – spiega ancora Semi -, ma, a differenza di quello che si sente dire, da questo punto di vista non insegnerà nulla: porterà solo ad una selezione darwiniana, per la quale gli attori più deboli saranno spazzati via e si rafforzerà chi era già forte e ha avuto a disposizione le risorse per reggere alla crisi. E si tornerà dopo un anno di impasse a puntare sulla monocultura turistica. Le città che resistono alle crisi sono quelle che non hanno puntato tutto su un unico settore, ma che, come un buon padre di famiglia, hanno diversificato gli investimenti. Non solo sul turismo, m anche su artigianato, manifattura, servizi. Così se collassa un settore magari reggono tutti gli altri”.

Ma, ammonisce Semi, è illusorio pensare di poter tornare alla situazione del 2019.

“Il turismo è estrazione di valore da un territorio, che si basa su bellezza, tesori d’arte e architettura delle nostre città, che abbiamo ereditato dai secoli passati, ma è un valore estremamente volatile, che può scomparire. Il turismo non produce beni materiali, che possono circolare e trovare altri sbocchi e mercati. I turisti non sono in numero infinito, altre crisi potranno avvenire in futuro che al pari della pandemia azzereranno i flussi. Va considerato poi che intere fasce della popolazione si sono fortemente impoverite, prima o poi la cassa integrazione per milioni di lavoratori terminerà, e allora saranno molti di meno coloro che si potranno permettere una vacanza, certamente non al costo che oggi ha mediamente una città d’arte, L’Aquila compresa”.

Altra parola magica più volte evocata per L’Aquila è quella di smart city, ovvero, al di là delle numerose e un po’ nebulose definizioni, una città ad alto contenuto tecnologico, cablata con connessione internet ad altissima velocità e predisposta alla rivoluzione del 5g, una città green, con centri storici liberi da auto e smog, con servizi all’avanguardia per il cittadino, trasporti pubblici efficientissimi e a impatto zero, pubblica amministrazione e sanità informatizzate e dematerializzate che forniscono risposte online e in tempo reale. I nuovi sottoservizi ispezionabili e predisposti alla collocazione della fibra ottica in via di realizzazione sotto le strade dell’Aquila, sono un esempio di infrastruttura degna di una smart-city. Tutto bello e avvincente, ma anche qui il professor Semi invita, decisamente controcorrente, a guardare anche all’altra faccia della medaglia.

“Che tutte le città debbano fare svolta nella direzione del digitale e di una maggior sostenibilità ambientale,  è ovviamente necessario e auspicabile – argomenta il docente – ma non bisogna pensare che questa sia la soluzione, non basta stendere la banda larga, disseminare la città di sensori, non bastano le app che ti dicono esattamente quando arriverà l’autobus alla fermata per creare in automatico crescita economica e benessere diffuso, per attrarre e favorire l’imprenditorialità. È invece fortemente probabile, se non certo, che il modello della smart city determina anch’essa una spirale di gentrificazione. Le città con tali livelli di tecnologia e e qualità dei servizi rischiano di essere per pochi, ad appannaggio di chi avrà i soldi per permettersele. Pertanto, l’errore da da non commettere è che la mano pubblica crei le infrastrutture necessarie alla smart city, per poi affidarle ai privati e alla legge del mercato, perdendo la possibilità di controllare e calmierare il costo di questi servizi ad alto contenuto tecnologico. Comunque va ricordato, almeno in Italia, che, per quanto riguarda la smart city siamo ancora alla fase degli annunci. I governi urbani, del resto, devono credere alle ‘mitologie’ perché sono stati spogliati dalla capacita decisionale, avendo a disposizione scarse leve economiche. E allora i Comuni devono celebrare le nozze con i fichi secchi e far sognare i cittadini con progetti futuribili, ma di non facile realizzazione”.

Quale sogno occorre dunque “frequentare” per L’Aquila che verrà? Su questo, Semi non ha dubbi: una città che mantenga la virtù della serendipity, termine intraducibile in italiano, coniato dallo scrittore Horace Walpole, che sta a significare l’occasione che anche una città può permettere di fare felici scoperte per puro caso e trovare una cosa non cercata e imprevista mentre se ne stava cercando un’altra.

“Una città funziona quando rende possibile l’incontro tra persone diverse, dove non c’è polarità e divisione tra centri per abbienti e ghetti di periferie, dove tutti possono decidere dove vivere. Una città aperta e ospitale, come lo sono tendenzialmente le città portuali, dove posso andare magari a visitare un monumento o un museo, ma poi per la strada faccio esperienze che non erano previste in nessuna guida turistica. Conosco le persone che ci vivono, che mi aprono le porte al loro mondo senza chiedere nulla in cambio. Una città viva, vera, quello che mai potrà essere  una città museo, una città gentrificata”, si accalora il professor Semi.

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