CHIETI – La colpì alla testa con una pesante statuetta in pietra, un gesto dettato dal fatto che non voleva che la moglie soffrisse a causa delle malattie. Accadde in una casa di Penne, il 29 maggio del 2020, e tempo dopo la donna, Maria Cretarola, morì.
Il marito, Gino Mazzini, 81 anni a luglio prossimo, oggi non era nell’aula della Corte d’Assise di Chieti, nel processo che lo vede accusato di omicidio volontario aggravato.
La Corte d’Assise, presidente Guido Campli, giudice a latere Maurizio Sacco, ha dichiarato chiusa l’istruttoria ed ha fissato l’udienza per la discussione al prossimo 27 settembre.
La difesa, con l’avvocato Antonio Di Blasio, d’accordo il pm Gabriella De Lucia, ha chiesto di acquisire i verbali di sommarie informazioni resi durante le indagini, e le annotazioni di Pg: dunque niente testimoni da sentire in udienza, con la sola esclusione degli atti relativi alla consulenza tecnica d’ufficio.
È stato dunque sentito lo psichiatra Maurizio Cupillari, che visitò Mazzini mentre questi era ricoverato nel servizio di psichiatria dell’ospedale di Pescara, poco tempo dopo il fatto. E a Cupillari fu proprio Mazzini a raccontare cosa lo spinse, quel giorno, a colpire la moglie alla testa con la statuetta in pietra, ovvero che non tollerava che la moglie soffrisse per le malattie da cui era affetta.
Mazzini per anni ha vissuto a Milano, dove aveva un bar, poi, con la pensione, arrivò la decisione di andare a vivere a Penne con Cretarola, la sua seconda moglie, con la quale “viveva in una situazione quasi simbiotica”.
La difesa ha sempre puntato sulla perizia psichiatrica, ma soprattutto a dimostrare che le cause della morte della donna sono legate a patologie pregresse e non alle lesioni riportate nell’aggressione ad opera del marito. Da quanto è emerso, la capacità di intendere di Mazzini al momento del fatto era piena mentre era scemata quella di volere, ma non fino ad arrivare a un vizio totale, mentre era capace di partecipare al processo.
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