L’AQUILA – “Sarebbe importante, un giorno, trovare fuori un ristorante, un bar, un locale o un negozio, una targa, rilasciata da un ente terzo, che certifichi la qualità del lavoro dei dipendenti, il rispetto dei contratti. Dovrebbe essere interesse in primis dei titolari, delle associazioni di categoria, perché lo sfruttamento dilagante, la precarietà, l’evasione contributiva e contrattuale, danneggia anche i tanti imprenditori del settore onesti e che rispettano le regole”.
Una proposta che suona come una provocazione e una implicita denuncia, quella di Luigi Fiammata, operatore del Patronato Inca Cgil L’Aquila, figura storica ed autorevole del sindacato abruzzese.
Fiammata, nell’intervista ad Abruzzoweb, illustra un quadro davvero preoccupante, sulle condizioni di lavoro in primis nel settore ristorazione e commercio a L’Aquila, suo osservatorio privilegiato, che non consente, tiene a sottolineare, “di generalizzare”, visto che “ci sono tante attività esemplari”.
E punta il dito contro il lavoro grigio, ovvero i contratti che da part-time diventano full time, contro i tirocini in azienda, che non esita a definire una “truffa legalizzata”, contro le paghe da fame.
Per apprezzare dunque la proposta di un marchio di qualità lavorativa, occorre effettuare una traversata nel triste mondo dello sfruttamento.
Partendo da un suo appunto di viaggio, nella forma di un post sul profilo facebook: “Una sola mattinata di lavoro: lavoratore filippino, in noto ristorante tipico aquilano, assunto da oltre un anno, contributi mai pagati. Lavoratore italiano in noto ristorante aquilano di alto livello: orario di lavoro per oltre 60 ore a settimana, retribuito per 15 ore a settimana, e contribuzione proporzionale al suo falso orario di lavoro. Proposta di lavoro, in un cantiere edile, ad un lavoratore del Bangladesh: prima, un contratto di lavoro per un mese, poi, un altro contratto, per due mesi, e poi un altro contratto per tre mesi, e poi un altro contratto per sei mesi, e poi…Una nota azienda chimico-farmaceutica della città, si rivolge alla sua agenzia interinale di fiducia, e il lavoratore italiano, viene assunto per 9 giorni; dopo un altro contratto in cui aveva lavorato 6 giorni, e dopo un altro contratto per il quale aveva lavorato 5 giorni. Insegnante italiana, finalmente viene assunta, con incarico per il ruolo di sostegno, da febbraio a giugno, 9 ore settimanali. L’eguaglianza esiste. Siamo tutti pezze da piedi”.
Commenta dunque il sindacalista: “Negli ultimi trentanni è stato deregolamentata all’infinito la legislazione sul lavoro, un imprenditore ora può contare su decine di modalità di assunzione. Ma la flessibilità non ha portato, come era stato promesso, ad un aumento dei post di lavoro, anzi, la disoccupazione è aumentata, assieme al lavoro povero: ci sono fasce sempre più ampie di persone che tra lavori precari e intermittenti e lavori sottopagati, si trovano in una situazione di galleggiamento, quando va bene”.
E fa un esempio, fresco fresco, di un caso trattato la mattina stessa al patronato: “Ho appena finito di parlare con una persona che lavora due ore al giorno per fare compagnia ad una persona anziana e resta nello stesso tempo in carico ad una agenzia interinale, per essere chiamato ogni tanto a sostituire personale all’interno della Asl dell’Aquila. Parliamo dunque di un lavoratore professionalmente qualificato, visto che può lavorare dentro un ospedale, ma deve campare con due ore sette giorni su sette come badante. Così non si costruisce nessun futuro, in particolare per i giovani”.
Torna in mente così il tamburellante priorità del fare più figli, e ai pur opportuni incentivi come l’assegno unico e quelli che anche in Abruzzo vengono erogati dalla Regione per favorire la natalità e la residenza nei piccoli paesi in via di spopolamento.
“Tutte le politiche che vogliono favorire l’incremento demografico, purtroppo servono a poco, nessuno fa un figlio perché riceve per un piccolo assegno unico, il figlio lo fai se sei in condizione di investire sul futuro, ed oggi, soprattutto dal punto di vista lavorativo, non si intravede questa speranza”, osserva il sindacalista.
Passiamo dunque al settore ristorazione e commercio, uno dei più esposti allo sfruttamento e all’elusione contrattuale, in casi estremi al lavoro nero.
“Posso dire con tranquillità, in base ai casi che quotidianamente affronto, che purtroppo le situazioni che si presentano da me sono molto simili: contratti part time che diventano full time, fino a 60 ore settimanali, forme contrattuali a termine, reiterate più volte è possibile. In molti casi un aiuto cuoco, soprattutto se straniero è pagato come un lavapiatti. Pochi o nessun controllo. Lavoratori che hanno paura a denunciare, perché poi temono di non trovare una altra occupazione, come se il settore sia un mano ad una sorta di cartello. In generale domina la regola della ricerca di soluzioni che massimizzano la quantità di lavoro, al prezzo più basso possibile”.
C’è poi il fenomeno dei tirocini formativi: “è uno strumento che droga il mercato, che io definisco una truffa legalizzata, visto che non c’è alcun controllo sull’effettivo percorso formativo avvenuto in azienda, con i soldi pubblici, non c’è nessuna obbligo per il datore di lavoro di certificarlo. Alle stesse aziende è consentito di cambiare i tirocinanti, con cui vengono sostituiti i dipendenti a cui è scaduto il contratto e mandati a casa”.
Per farla breve, la questione dell’invasione dei centri storici, a L’Aquila come altrove, da parte di pub, locali e ristoranti, non pongono solo un problema di coesistenza con i cittadini residenti, per via della cosiddetta movida molesta, il tema è che questa tipologia di economia, pur importante e positiva, crea poco lavoro qualificato e stabile.
“Mi chiedo, quando si parla di turismo, quanti tra i lavoratori conoscono le lingue, parlano un inglese fluente. La percentuale è molto bassa, in realtà, ed è un ulteriore segnale del fatto che non si punta alla qualità e al livello professionale. Ma soprattutto, chi non rispetta le regole fa concorrenza sleale, agli imprenditori del settore, e ce ne sono tanti anche a L’Aquila, che invece fanno contratti a tempo indeterminato, pagano bene i loro dipendenti, investono sulla solo crescita professionale. L’evasione contributiva, fiscale e contrattuale, spinge il mercato verso il basso, compromette la crescita sociale ed economica di una comunità, costringendo i giovani ad andare via”.
E così, chiudendo il cerchio ben venga allora almeno un marchio di garanzia sulla qualità del lavoro, affianco a quelli della qualità del servizio.
“Personalmente ho una mia personale lista di locali e ristoranti dove non metto piede, perché ho contezza di quello che accade lì dentro in termini di diritti del lavoro. Credo che una certificazione sarebbe una buona idea, apprezzata da tanti cittadini e clienti, e dovrebbe essere raccolta in primis da parte delle associazioni di categoria, se davvero tengono ai valori della concorrenza leale, e dell’elevazione della qualità del servizio”.
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