”UNA STORIA POSITIVA, UN MESSAGGIO DI RINASCITA”, PAOLO GENOVESE A L’AQUILA PRESENTA IL SUO LIBRO

di Loredana Lombardo

25 Ottobre 2018 15:30

L'Aquila -

L’AQUILA – “Mi è sempre piaciuto raccontare storie, alla fine o nelle vesti di regista o da scrittore cerco comunque di comunicare qualcosa, e con il mio ultimo libro volevo dare anche un messaggio positivo alla società, per andare avanti, rialzarsi, coltivando sempre la speranza nel nuovo giorno”.

A parlare è il regista romano Paolo Genovese, intervistato da AbruzzoWeb alla vigilia della presentazione all’Aquila del suo ultimo romanzo Il primo giorno della mia vita (Einaudi), all’interno della rassegna “Scrittori al Centro”, in programma per oggi pomeriggio alle 18 all’Auditorium Sericchi, organizzata dalla Bper, dalla Fondazione Carispaq e curata da Greta Salve.

Un libro che presenta quattro storie diverse tutte a un bivio, con il filone comune di un male profondo, che spinge i protagonisti ad abbandonare la vita in una giornata piovosa a New York, ma arriva qualcuno a fermarli, li lascia pensare e dona loro altri sette giorni per riflettere.

Una veste relativamente inedita per il regista campione di incassi con i suoi film come “Perfetti Sconosciuti” che ha spopolato anche in Cina , “Immaturi” o “Tutta Colpa di Freud”, essendo il suo secondo romanzo.

Una penna a quanto pare fortunata, dal momento che il romanzo, uscito in primavera, è già alla sua quinta ristampa.





“Scrivere un libro o una sceneggiatura – chiarisce Genovese ad AbruzzoWeb – è comunque un modo per raccontare la vita. Sono entrambe delle forme artistiche che possono dare qualcosa, nasco come pubblicitario e ho studiato comunicazione per avere più possibilità o il così detto 'piano b' e sono sempre stato affascinato dalla società e dal suo continuo evolversi”.

Genovese iniziò la sua fortunata carriera nel 1998, con la realizzazione insieme a Luca Miniero del cortometraggio candidato al David di Donatello, “Incantesimo napoletano”, che nel 2002 divenne un film.

Perchè un romanzo e non una sceneggiatura? “Scrivere con la penna alla fine non costa nulla – spiega – e sentivo forte la necessità di raccontare qualcosa di diverso ambientato  non in una città a caso, ma a New York, 'dove tutto può succedere', dove se “racconti qualunque cosa può essere creduta, ha un pizzico di magia. I protagonisti alla fine scendono a patti con una specie di angelo senza ali che cerca di farli innamorare di nuovo della vita, liberi dopo una settimana di decidere se usare questa uscita d’emergenza”.

Ma una cosa non esclude l'altra e magari anche Il primo giorno della mia vita potrebbe diventare un film, “perchè no? penso che sia una storia davvero molto bella”.

Un percorso narrativo che ruota intorno a questi quattro personaggi: una mamma che ha perso un figlio e vive questo dolore profondo, “un lutto senza nome, c’è il vedovo, l’orfano, ma non abbiamo una parola per una cosa così straziante”, un uomo depresso, una donna sulla sedia a rotelle “metafora di tutte quelle persone che non riescono a rialzarsi” e infine un ragazzino di 12 anni, “che si sente incompreso in un periodo della vita molto delicato, perchè a quell'età vivono una fase in cui vanno protetti e tutelati moltissimo”.

“Tutti abbiamo due vite, la seconda comincia quando capiamo di averne una sola” è una frase di Confucio che secondo Genovese calza a pennello con il leit motiv del romando, “da un estremo ritengo che si possa raccontare meglio l’animo umano, e quello che sembra essere l'ultimo giorno potrebbe essere il primo di una nuova rinascita, è come se avessi voluto uccidere i protagonisti, per poi farli resuscitare”.





E verrà a parlare di rinascita proprio all'Aquila, il più grande cantiere d'Europa, che cerca ancor oggi di andare avanti, tra mille difficoltà, a 10 anni dal cumulo di macerie e dallo spettro della morte conseguenti al sisma del 6 aprile 2009.

L'Abruzzo è un posto a cui è molto legato, da bambino aveva una casa Rocca di Mezzo (L'Aquila), dove ha trascorso le vacanze della sua infanzia e gioventù, “sono stato tante volte a Campo Felice, mi sono fermato spesso durante i miei giri lavorativi per mangiare o comunque godere della bellezza di questo territorio. Ho un rapporto di emozioni profonde, ho tanti amici del posto e vedere il centro storico dell'Aquila così ferito, ma così desideroso di rialzarsi, è stato molto doloroso”.

Il regista ha anche lavorato nel capoluogo, dove ha insegnato Comunicazione pubblicità alla scuola Reiss Romoli.

Il terremoto è stata una situazione paradossale, come quelle che racconta spesso nei suoi film o nei suoi libri, come in “Perfetti sconosciuti”, dove c’è “la realtà vissuta e quella raccontata” o come in “Immaturi” dove un gruppo di uomini alla soglia dei 40 anni, a seguito di un disguido burocratico, si ritrova a tornare indietro e a rivivere il periodo dell’esame di maturità

Un salto indietro nel tempo che non dispiacerebbe nemmeno allo stesso regista, “erano anni stimolanti, c’erano dei rapporti diversi. Io non sono uno che demonizza il web o l’uso del cellulare, c’è un modo fisiologico e uno patologico di usare la tecnologia”.

E in conclusione, il desiderio dell'autore è che il suo romanzo abbia una funzione sociale per chi è in difficoltà, “avevo voglia di una storia felice, di emozioni, di riscatto, di persone che provano a reagire. Chiunque ha bisogno di qualcuno che ci dia una mano, per vedere le cose da un altro punto di vista”.

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