L’AQUILA – “Nell’università dell’Aquila Di Orio era il sultano, il resto non contava nulla perché gli organi collegiali sono stati sempre stati di assoluto predominio del rettore. Per cui anche le decisioni collegiali diventavano monocratiche”.
È uno dei passaggi più forti della deposizione del professor Sergio Tiberti, nel corso dell’udienza che si è svolta oggi nella nona sezione collegiale del tribunale di Roma (presidente Secchi, a latere Nicchi e Fortuni) al processo che vede imputato l’ex rettore dell’università dell’Aquila, Ferdinando Di Orio, per concussione proprio nei confronti dello stesso Tiberti, docente dell’Ateneo aquilano, suo ex grande amico.
Tiberti, grande accusatore dell’ex padre padrone dell’università aquilana anche per altre vicende, tra cui quella degli affitti gonfiati per ricollocare le facoltà universitarie dopo il terremoto del 6 aprile 2009, per la quale è sotto processo anche all’Aquila, in ogni passaggio della sua deposizione ha confermato i gravi addebiti contro Di Orio che, secondo l’accusa, avrebbe chiesto e ottenuto più di 200 mila euro oltre a numerosi regali, tra cui due auto e vestiti sartoriali.
L’ex senatore si è difeso prima dicendo che Tiberti lo aveva pagato per lavori scientifici, sebbene ai magistrati non abbia mai esibito le fatture, e poi che Tiberti lo aveva denunciato per vendicarsi.
“Il rettore mi ha minacciato più volte e poi tolto tutto iniziando autentici bombardamenti quando nel 2009 sono finite le dazioni estorte”, ha detto ancora il docente, che ha chiarito in modo esaustivo al pm le modalità con cui venivano assegnati e poi tolti gli incarichi.
Quella di oggi è stata la prima vera udienza del processo, visto il rinvio dello scorso 1° ottobre: il primo round va nettamente all'accusa alla luce della deposizione del professor Tiberti e di quella dell’investigatore che, per conto della procura aquilana, che poi ha trasmesso per competenza gli atti a Roma, ha svolto le indagini, confermando l’esistenza degli assegni per centinaia di migliaia di euro staccati dal docente aquilano e incassati da Di Orio.
In particolare, prima dell’audizione di Tiberti sono stati sentiti il maresciallo Fazio dell’Arma dei Carabinieri e il perito dott. Lupi, chiamato dal pubblico ministero aquilano Fabio Picuti, che hanno confermato in toto quanto affermato da Tiberti.
Il giudice ha fissato altre due appuntamenti che saranno caratterizzati dalla sfilata di testimoni: il prossimo 27 febbraio quando verrà completata la deposizione di Tiberti e tra gli altri verranno sentiti il professor Conti e Oliva.
Poi, il 26 maggio prossimo, quando toccherà al proprietario della concessionaria dove Tiberti ha acquistato le due auto per Di Orio, al professor Valenti e alla dottoressa Campoli, oltre al proprietario dalla sartoria artigianale dove sono stati acquistati, sempre dal professor Tiberti, gli abiti per l’ex rettore.
Durante l’udienza di oggi sono state anche acquisite le relazioni del perito nominato dalle due procure, aquilana e romana.
“Nelle consulenze tecniche sono state ricostruiti i rapporti patrimoniali tra i due, nella ricostruzione dei flussi finanziari si confermano le somme pagate da Tiberti a Di Orio – ha spiegato l’avvocato Giorgio Tamburrini, difensore di Tiberti – L’udienza è andata bene anche se siamo solo all’inizio”.
Di Orio non era in aula. Il professor Tiberti, invece, non ha voluto commentare nel merito quanto accaduto oggi: “Scusatemi ma non sono un legale, per me vale la sentenza finale”.
Intanto, si assottiglia e rischia in futuro di diventare ancora meno nutrita la pattuglia di testimoni della difesa Di Orio, tra cui figurano parenti stretti, fedelissimi e colleghi ‘adepti’.
Con un comunicato ufficiale si è sfilato il consigliere comunale dell’Aquila ed ex assessore provinciale Guido Liris (Forza Italia), da sempre indicato negli ambienti universitari come ‘figlioccio’ del rettore dell’ultimo decennio.
Liris ha preso le distanze dall’ex rettore che lo ha inserito a sua insaputa nella lista testi.
“Non sapevo di essere stato inserito tra i testimoni a difesa del prof. Di Orio: sono rimasto molto sorpreso e spiacevolmente impressionato nell’apprenderlo dai quotidiani online – ha scritto – All’ epoca dei fatti io ero un semplice rappresentante degli studenti (specializzandi – studenti in formazione specialistica) e, sinceramente, non riesco a immaginare come e in che misura io possa dare un contributo di qualsivoglia tipo all’economia del processo in corso”.
“Ciò che mi auguro è che in questo, come in tutti gli altri procedimenti che vedono presente l’istituzione Università, si arrivi presto alla verità. Questo è il mio unico interesse di amministratore e di cittadino – ha proseguito Liris – Per quanto riguarda nello specifico la mia posizione di testimone, penso che la mia persona possa stare indifferentemente nella lista dei testimoni a difesa del prof. Di Orio come del prof. Tiberti, tale è la mia distanza ed estraneità rispetto alla complessità e alla gravità dei fatti oggetto della controversia”.
Secondo quanto si è appreso, anche altri prof potrebbero puntare a declinare l’invito.
La vicenda della presunta concussione si origina quando Tiberti viene nominato responsabile scientifico di uno studio in convenzione tra una grande azienda internazionale e l'Università e da allora, secondo il prof, cominciano le richieste e i versamenti di denaro a Di Orio.
“Oltre 200 mila euro in 10 anni versati a titolo personale”, questa la quantificazione fatta da Tiberti nella sua denuncia del 13 settembre 2009, in cui spiega di aver detto basta nel 2006.
Di Orio si è sempre difeso negando ogni richiesta ed evocando piuttosto l’ipotesi di una ‘vendetta’ del prof.
“Fra noi due, che ci conosciamo e siamo amici da 35 anni – dichiarò al Giornale nel 2010 – è sorto un contrasto su uno studio commissionato da una grande azienda internazionale sulle condizioni di vita dei territori in cui sono presenti le centrali a carbone. Io non ho voluto avallare la tesi che era presente in quello studio di Tiberti, e da lì si sono rotti i rapporti”.
Su questa e simili affermazioni, tra l’altro, c’è stata un’altra querela per diffamazione. L’inchiesta sulla concussione si è sviluppata in oltre 3 anni in modo controverso e con numerosi cambiamenti dei protagonisti inquirenti e giudicanti.
A dare l’avvio a tutto è stato un esposto di Tiberti alla procura della Repubblica dell’Aquila, con l’acquisizione di assegni e la verifica di movimenti di denaro. Successivamente, però, l’indagine è stata trasferita nella Capitale per competenza territoriale dal sostituto procuratore del capoluogo Fabio Picuti.
Una svolta c’è stata nell’ottobre 2010, quando il pm della procura romana Pietro Giordano ha chiesto l’archiviazione per Di Orio al giudice per le indagini preliminari dell’epoca, Maria Teresa Covatta.
A quel punto l’avvocato di Tiberti, Giorgio Tamburrini, ha fatto opposizione ma, poco prima che un altro giudice subentrato nel frattempo, Flavia Costantini, fissasse l’udienza di merito, Giordano è tornato sui suoi passi, revocando la richiesta di archiviazione: una mossa a sorpresa, consentita ma inusuale per un pm.
Quando il sostituto è stato trasferito, il fascicolo è passato di mano a Deodato che, però, ha preso una direzione differente, chiedendo il rinvio a giudizio al gup Cipriani, che lo ha concesso. In udienza preliminare, i giudici capitolini hanno considerato “fantasiosa” la ricostruzione dioriana dei fatti.
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