ROMA – “Ho pagato io l’acquisto dell’auto per la figlia di Ferdinando Di Orio”.
Così il professore dell’Università dell’Aquila, Sergio Tiberti, nel corso dell’udienza presso la nona sezione collegiale del tribunale di Roma nell’ambito del processo che vede imputato l’ex rettore del capoluogo con l’accusa di concussione nei confronti dello stesso docente.
Il dibattimento è stato aggiornato al prossimo 15 maggio.
In questa seconda udienza, in due ore Tiberti ha completato la deposizione cominciata nello scorso appuntamento e ha confermato tutti gli addebiti contro Di Orio, che gli avrebbe estorto nel corso degli anni più di 200 mila euro e preteso costosi regali, sotto la minaccia di compromettere la sua carriera accademia e professionale.
Dopo Tiberti, assistito dall’avvocato Giorgio Tamburrini, è stata la volta del testimone dell’accusa Davide Colaneri, titolare della concessionaria Mondoauto di Roma, il quale ha confermato “l’acquisto, nella primavera del 2005, da parte di Tiberti, di una Kia Picanto a chilometri zero, per la somma di 7.200 euro, su richiesta dell’ex rettore Di Orio, desideroso di fare un regalo alla figlia”.
Colaneri ha anche affermato che “l’auto, ritirata da Di Orio, non trovò però il favore della destinataria”, e che Di Orio “pretese, con telefonate e visite alla concessionaria, di cambiare l’automobile con una più costosa Citroen C2 modello Batman”.
Ancora una volta, secondo le accuse, ad aprire il portafoglio fu Sergio Tiberti, che all’epoca dei fatti era in buoni rapporti con Di Orio, e “che pagò la differenza per arrivare alla cifra di 13.600 euro”.
Il cambio d’auto sarebbe avvenuto 4 mesi dopo l’acquisto, e il teste Colaneri ha affermato che “Di Orio si sarebbe raccomandato di non dire alla figlia che a pagare l’auto era stato Tiberti, perché doveva risultare un suo regalo”.
Successivamente è stata la volta del secondo testimone dell’accusa, la dottoressa Tiziana Conti, consulente di Tiberti, che ha confermato che i vestiti su misura acquistati dal professore da una nota sartoria artigianale di Umbertide, e consegnati nel suo studio di Roma, erano destinati, come confermato dalla taglia, all’ex-rettore Di Orio.
La vicenda della presunta concussione si origina quando Tiberti viene nominato responsabile scientifico di uno studio in convenzione tra una grande azienda internazionale e l'Università e da allora, secondo il prof, cominciano le richieste e i versamenti di denaro a Di Orio.
“Oltre 200 mila euro in 10 anni versati a titolo personale”, questa la quantificazione fatta da Tiberti nella sua denuncia del 13 settembre 2009, in cui spiega di aver detto basta nel 2006.
Di Orio si è sempre difeso negando ogni richiesta ed evocando piuttosto l’ipotesi di una ‘vendetta’ del prof.
“Fra noi due, che ci conosciamo e siamo amici da 35 anni – dichiarò al Giornale nel 2010 – è sorto un contrasto su uno studio commissionato da una grande azienda internazionale sulle condizioni di vita dei territori in cui sono presenti le centrali a carbone. Io non ho voluto avallare la tesi che era presente in quello studio di Tiberti, e da lì si sono rotti i rapporti”.
Su questa e simili affermazioni, tra l’altro, c’è stata un’altra querela per diffamazione. L’inchiesta sulla concussione si è sviluppata in oltre 3 anni in modo controverso e con numerosi cambiamenti dei protagonisti inquirenti e giudicanti.
A dare l’avvio a tutto è stato un esposto di Tiberti alla procura della Repubblica dell’Aquila, con l’acquisizione di assegni e la verifica di movimenti di denaro. Successivamente, però, l’indagine è stata trasferita nella Capitale per competenza territoriale dal sostituto procuratore del capoluogo Fabio Picuti.
Una svolta c’è stata nell’ottobre 2010, quando il pm della procura romana Pietro Giordano ha chiesto l’archiviazione per Di Orio al giudice per le indagini preliminari dell’epoca, Maria Teresa Covatta.
A quel punto l’avvocato di Tiberti, Giorgio Tamburrini, ha fatto opposizione ma, poco prima che un altro giudice subentrato nel frattempo, Flavia Costantini, fissasse l’udienza di merito, Giordano è tornato sui suoi passi, revocando la richiesta di archiviazione: una mossa a sorpresa, consentita ma inusuale per un pm.
Quando il sostituto è stato trasferito, il fascicolo è passato di mano a Deodato che, però, ha preso una direzione differente, chiedendo il rinvio a giudizio al gup Cipriani, che lo ha concesso. In udienza preliminare, i giudici capitolini hanno considerato “fantasiosa” la ricostruzione dioriana dei fatti.
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