L’AQUILA – Il Comune dell’Aquila deve avere dall’Aeroclub, ex gestore dello scalo di Preturo, ora aeroporto dei parchi, la somma di oltre 2 milioni per i canoni di occupazione del suolo.
Lo ha deciso la Corte di Cassazione respingendo, in quanto inammissibile, l’ultimo ricorso di Aeroclub che venne estromesso dall’ente dalla gestione. La somma, data la probabile rivalutazione, potrebbe ammontare anche a 3 milioni.
Da precisare che questa controversia, che risale a oltre 20 anni, fa non riguarda per nulla l’attuale valida gestione dello scalo. In sostanza l’ente ha chiesto all’Aeroclub (ora non più attivo) di versare i canoni per l’occupazione abusiva.
“In forza di delibera di Giunta Comunale si esercitò la disdetta della concessione ordinando, il 27 febbraio 2006”, dicono i giudici della Cassazione, “il rilascio dell’area su cui insisteva l’aeroporto. Con successivo avviso di accertamento del 24 dicembre 2014, notificato il 7 gennaio 2015, il Comune dell’Aquila richiese all’Aeroclub € 2.190.802,93 a titolo di canone di occupazione di suolo pubblico delle aree da rilasciare e ricomprese nell’ambito del sedime aeroportuale, relativamente al periodo compreso tra il 1° gennaio 2009 ed il 16 dicembre 2009. L’Aeroclub impugnò detto avviso di accertamento del 24 dicembre 2014 con il quale era stata determinata la somma da esso dovuta e chiedeva al giudice di dichiarare che nulla fosse dovuto al Comune, In via subordinata, chiedeva la riduzione del canone in ragione del fatto che l’aeroporto era stato occupato dalla Protezione Civile a seguito del sisma del 6 aprile 2009. Si costituiva il Comune, chiedendo il rigetto dell’opposizione. Con sentenza emessa nel 2019, il Tribunale rigettò la domanda dell’Aeroclub. Con sentenza depositata il 17.6.2022, anche la Corte territoriale ha rigettato l’appello proposto dell’Aeroclub avverso la sentenza”.
“Il ricorrente”, si legge tra i passi della sterminata motivazione, “non ha dimostrato che l’utilizzazione dell’area in suo possesso da parte della Protezione Civile fosse avvenuta senza un accordo, ovvero senza il pagamento di un indennizzo. Sul punto, la Corte territoriale ha compiuto un accertamento di fatto in ordine alla circostanza che l’area in questione era comunque nella detenzione del ricorrente, per cui sarebbe stato suo onere dimostrare il titolo del trasferimento della detenzione ad un soggetto terzo. Al riguardo, è vero che la circostanza dell’utilizzo dell’area da parte della Protezione civile era stata dedotta e non specificamente contestata, ed anzi parzialmente ammessa, come si dice nel settimo motivo ma, tuttavia, il ricorrente non si confronta in modo puntuale e specifico con la conforme osservazione, non puntualmente censurata secondo cui era lui che avrebbe dovuto provare che non erano intervenuti accordi e indennizzi con il soggetto occupante, o parzialmente occupante. Le spese seguono la soccombenza, liquidate come da dispositivi”.
“La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di euro 20.200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione per il rimborso forfettario delle spese generali ed accessori di legge. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, ove dovuto”.
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