CHIETI – “Tutto è nato da un giornalino nel carcere di Pescara, poi sono arrivati i laboratori e tante altre attività. Oggi ‘Voci di dentro’ si occupa anche di accogliere detenuti in misura alternativa, che sono agli arresti domiciliari o affidati ai servizi sociali. È un’associazione indipendente”.
Che sia “indipendente” lo sottolinea subito al telefono Francesco Lo Piccolo, presidente dell’Associazione “Voci di dentro”, nata nel 2008, e lo ribadiscono nel corso di un’intervista le giovanissime Concettina Caprino e Maria Pia Franciosa, entrambe 23enni, laureate in Sociologia e Criminologia, volontarie del Servizio civile.
In un giorno di inizio febbraio ci addentriamo tra i vicoli del centro storico di Chieti, arriviamo in via Concetio De Horatiis alla ricerca della sede, troviamo un portone spalancato sul quale è affissa la locandina di una mostra fotografica “L’essenza del carcere” e nell’androne una scalinata.
Salendo arriviamo a un’altra porta, nella sala ci sono almeno trenta persone, alcune che discutono sedute attorno ad un tavolo, altre impegnate in altre faccende, qui ad accoglierci ci sono Concettina e Maria Pia: “È in corso una riunione, sono tutti detenuti in misura alternativa, vengono qui due o tre volte alla settimana in base alla decisione del magistrato di sorveglianza. È qui che si svolgono in parte i laboratori”, spiegano.
Ce ne sono diversi, da quello di alfabetizzazione cognitiva a quello di ragionamento critico, incontri su tematiche di attualità, introspezione, comunicazione e scrittura. L’attività, prestata senza scopo di lucro, comprende corsi di scrittura e giornalismo, cineforum, convegni, dibattiti dentro e fuori il carcere.
Lo scopo è promuovere la cultura della solidarietà e il reinserimento sociale delle persone in stato di disagio e degli ex detenuti.
“Ci sono laboratori anche nelle carceri, come Chieti e Pescara, per donne e uomini. Collaboriamo con diversi istituti penitenziari, restando sempre indipendenti”, sottolineano di nuovo le giovani volontarie.
In Abruzzo, nel 2023, sono registrati 1.972 detenuti nelle carceri delle 4 province contro i 1.870 del 2022, un centinaio in più in un anno, a fronte di una capienza regolamentare di 1.715 posti letto per le case circondariali abruzzesi.
“Al centro del progetto di Voci di Dentro c’è la convinzione che non ci sono muri da innalzare, ma porte da aprire e che la chiave per aprire queste porte è la cultura e il lavoro. Ed è questa la vera sicurezza”, è il messaggio dell’associazione.
Si occupa, in sostanza, di quelli che per molti non sono altro che “fantasmi”. In un articolo di Claudio Bottan, dal titolo “Il carcere, istruzioni per l’uso”, si legge: “La maggior parte delle persone che sono in carcere, soprattutto nelle case circondariali, non ci dovrebbe stare, e non serve a niente che ci stia: la loro detenzione è solo una vendetta sociale, un dolore, uno spreco, una fatica, un’esperienza devastante per loro e per le loro famiglie e per le famiglie di quelli che devono tenerli in custodia […] è una soluzione pigra, disumana e fallimentare al problema che la nostra società ha con il male e la sua limitazione […] è l’equivalente di nascondere lo sporco sotto il tappeto, solo che in questo caso lo sporco sono persone che escono peggiorate e più pericolose per sé e per gli altri di quando ci sono entrate”.
L’articolo si trova sul numero 49, di ottobre 2023, della rivista “Voci di dentro”, periodico quasi interamente scritto da esperti del settore ed alcuni detenuti delle Case circondariali di Chieti, Pescara e fino al 2013 di Vasto e Lanciano.
Il giornale è nato prima del 2000 ed era il classico giornalino del carcere con Lucia Avantaggiato, direttrice del carcere di Chieti come “direttore editoriale”. Nel 2006 diventa direttore Francesco Lo Piccolo e nel 2009 viene portato fuori dal carcere, registrato in tribunale come testata Voci di dentro di proprietà dell’associazione di volontariato Voci di dentro. Da più di due anni esce 4/5 volte all’anno e con una foliazione di 64 pagine. Stampata in 2 mila copie per numero, fogli A4 (21×29 mm), la rivista è spedita in abbonamento postale ed è distribuita gratuitamente in rete.
“La rivista – viene spiegato – è scritta da chi conosce personalmente quello di cui parla. Non ha padroni, è informazione dal basso, è giornalismo sociale. Senza scopi se non quello di informare su una realtà (penale e giudiziaria) distorta, manipolata e usata dal sistema dei media (assieme al penale) per fini che non hanno nulla a che vedere con il giornalismo. Voci di dentro è una rivista contro e non allineata. È contro un sistema che stereotipizza, semplifica, riduce le complessità sociali, producendo una realtà alterata, escludendo, promuovendo consenso. Oltre a persone in stato di disagio (detenuti, ex detenuti, altri) la rivista è scritta da volontari, esperti, giuristi, psicologi, sociologi e da personalità del mendo dell’amministrazione penitenziaria. Si occupa di carcere, giustizia e società affrontando tematiche varie compresa l’attualità”.
Mentre sfogliamo un paio di copie, tra i tanti articoli, uno in particolare attira la nostra attenzione. Il titolo è “Bambini in carcere, le loro prime parole ‘guardia, apri'”, a firma di Luigi Mollo.
“Le quattro carceri femminili presenti sul territorio italiano, Trani, Pozzuoli, Roma E Venezia, ospitano 602 donne, pari a un quarto del totale. Le altre 1.780 donne sono distribuite nelle 44 sezioni femminili ospitate all’interno di carceri maschili […] Le donne in carcere provengono quasi sempre da una precedente esclusione sociale, da una debolezza economica e marginale. Le pene sono di solito più brevi rispetto a quelle degli uomini, e la maggior parte di esse proviene da situazioni di abusi. [….] Complessivamente c’erano al 31 dicembre 2022 oltre 3.890 figli con la madre in un carcere italiano. Le donne hanno il diritto di scegliere se portarli con sé. Il tema del no ai bambini in carcere unisce tutti ed è facile trovare unanimità. La realtà fortunatamente è di numeri molto bassi ma, per non fare entrare un bambino in carcere, ci sono due vie: separarlo dalla madre, o non farci andare lei. Quest’ultima però costituirebbe un presupposto di impunità, allora si preferisce che le prime parole che imparerà il bambino di una donna detenuta siano: agente, cella, sbarre, aria, guardia, apri”.
Di qui la riflessione: “La massa di persone in carcere non ci sarebbe se ci fosse fuori un sistema serio di politiche sociali, sanitarie e lavorative. Rinchiudiamo quel ‘carico residuale’ che non vogliamo gestire fuori senza ridurre il sistema penale e investire sul sociale scegliendo vie alternative”, osserva ancora Mollo.
Senza contare “il fenomeno suicidario”: siamo a “quota 18” suicidi dall’inizio del 2024. L’ultimo caso arriva da Terni, dove un detenuto 46enne si è tolto la vita impiccandosi nella propria cella. Per Mirko Manna, coordinatore nazionale FP CGIL Polizia Penitenziaria: “è solo la punta dell’iceberg di un sistema penitenziario senza reali prospettive di miglioramento”.
E dopo aver vissuto dentro quelle mura, si legge poi ancora tra le righe di Bottan, “il detenuto esce con tutti i problemi che aveva quando vi è entrato, con l’aggiunta di essere stato in carcere, ovvero con maggiori difficoltà a trovare un lavoro o anche un posto dove vivere. La rieducazione è diventata una specie di parolaccia nel dibattito sul crimine in Italia”. Infine, come dopo gli incontri nelle scuole, lascia in sospeso questa domanda: “Siamo proprio sicuri che questo sistema sia il modo migliore per far scontare la pena a chi ha commesso un reato?”.
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- “VOCI DI DENTRO” E FUORI DAL CARCERE: STORIE DI FANTASMI E GIORNALISMO SOCIALECHIETI - "Tutto è nato da un giornalino nel carcere di Pescara, poi sono arrivati i laboratori e tante altre attività. Oggi 'Voci di dentro' si occu...