NAVELLI – “Politica e istituzioni si muovano per fermare un accordo che rischia di fiaccare la qualità del Made in Italy e dello zafferano”.
L’affondo è di Paolo Federico sindaco di Navelli, comune simbolo dello zafferano, dopo che l’Ac Milan ha annunciato nei giorni scorsi una nuova partnership con Oro Rosso Milano, nuovo marchio italiano produttore di zafferano, pronto a lanciare il proprio brand nel mercato nazionale e internazionale. Si tratta però di bulbi di zafferano coltivati in Italia e poi lavorati in Uzbekistan, “terra che echeggia la storica via delle spezie, dove le particolari abilità delle comunità locali permettono di trasformare il bulbo nel prodotto finito, garantendo in questo processo una qualità altissima per il suo utilizzo nella ristorazione e nell’ambito della nutraceutica, grazie alle molteplici qualità benefiche dello zafferano”, si legge nella nota dell’Ac Milan. Di fatto lo zafferano sarà uzbeko.
Un processo, associato in ottica di marketing al brand made in Italy, che ha già generato la reazione dei produttori del Consorzio per la Tutela dello Zafferano dell’Aquila DOP .
“In Italia abbiamo tutte le abilità per lavorare lo zafferano – incalza ora il sindaco di Navelli -. Non è necessario ricorrere a quelle delle comunità dell’Uzbekistan. Certo nel commercio ognuno è libero di fare come meglio crede, ma di sicuro non occorre essere esperti di marketing per capire che il prestigio e la visibilità di una società come il Milan meglio si sposerebbe con la tradizione italiana e soprattutto con il profondo legame che lega il capoluogo lombardo con l’Abruzzo in termini di nascita del risotto alla zafferano”, ha aggiunto in riferimento alla storia della nascita del tipico piatto milanese che sembrerebbe derivare dell’intervento di un abruzzese.
“Inoltre, si parla tanto del Made in Italy e poi si procede per far lavorare il prodotto in un altro paese. A questo punto sono convinto che sia sempre più necessario l’intervento del presidente della Regione, Marco Marsilio, delle altre sfere politiche, sindacati e delle istituzioni tutte in quanto si sta creando un vero e proprio danno all’intera trafila dello zafferano. In particolare, qualcuno deve spiegarci come sia possibile prendere gli steli nati da bulbi italiani e lavorarli a qualche migliaio di chilometri di distanza, quando tutti sanno che il prodotto deve essere raccolto e subito lavorato altrimenti si deteriora”.
“Questo senza dimenticare il lungo lavoro fatto per ottenere la DOP assegnata a 13 comuni dell’Aquilano e agli enormi sforzi per mantenere la tradizione acquisita nei secoli per la preziosa spezia. Infine, se proprio l’Uzbekistan riecheggia di via della seta non credo che gli stessi, fosse non altro per la distanza a cui si sottoporrebbe la spezia, possano abbiano idea di cosa significhi avere certificati di qualità, attenzione allo sfruttamento del terreno, adottare specifiche tecniche di lavorazione in riferimento a dettagliati protocolli e tutto quanto contraddistingue la qualità del nostro prodotto. Insomma, si parla tanto di tutela del Made in Italy, ma si rischia di trasformare lo zafferano in qualcosa di molto simile ai famigerati parmesan, buffalo mozzarella o pommarol”.
Dura anche la reazione del Consorzio per la Tutela dello Zafferano dell’Aquila DOP
“La notizia ci ha lasciati un po’ interdetti” – ha dichiarato il presidente Massimiliano D’Innocenzo -. In generale, non fa bene a nessuno utilizzare il “made in Italy” come slogan, se poi ci si vanta di far lavorare il prodotto in un altro Paese, qualunque esso sia. Nel caso dello zafferano, non riusciamo a capire neanche bene il significato di quanto riportato “nasce da bulbi coltivati in Italia e poi lavorati in Uzbekistan”: per sua natura, lo zafferano va raccolto e lavorato in giornata, per cui l’unica interpretazione plausibile è che i bulbi italiani verranno coltivati nel paese asiatico e lì i fiori saranno raccolti e lavorati”.
“Questo va contro ogni logica” – continua il Presidente Massimiliano D’Innocenzo – “e proprio noi a L’Aquila e nel nostro territorio della DOP ci vantiamo esattamente del contrario, ovvero di coltivare solo in determinate aree (i 13 Comuni dell’Aquilano, per il loro clima e tipo di terreno) e di lavorare con una cura e attenzione acquisita nei secoli e controllata e certificata dal marchio DOP la preziosa spezia, con l’intento ultimo di garantire un livello di qualità eccelso per il consumatore, cosa che non ci sentiamo assolutamente di accostare a quanto possa avvenire in altre parti del mondo. Ovviamente è tutto lecito, ma accostare questa operazione al “made in Italy” ci sembra davvero assurdo”.
Download in PDF©