L’AQUILA – La Corte di Cassazione ha confermato le condanne a 4 anni di reclusione ai danni per Savino Guarino, di 63 anni, ex comandante provinciale dei carabinieri dell’Aquila, e Massimiliano Cordeschi, 56 anni, già city manager del Comune dell’Aquila, per concussione ai danni dell’imprenditore e dentista aquilano Gabriele Valentini. I fatti risalgono al 2012.
Un caso che quando venne alla luce ebbe un notevole rilievo mediatico vista la notorietà delle parti in causa e che costò il posto all’ufficiale.
Non è detto che vadano in carcere visto che possono chiedere di essere ammessi a misure alternative come i servizi sociali se non hanno altre condanne.
I giudici, dunque, hanno respinto in quanto inammissibili i ricorsi degli accusati come sollecitato dalla Procura generale.
I due erano stati condannati in primo grado dal tribunale dell’Aquila rispettivamente a 6 anni e 5 anni e otto mesi.
Poi in appello all’Aquila furono assolti ma su ricorso della procura aquilana e dello stesso Valentini, gli atti furono rimessi in Cassazione e trasferiti su decisione di questa alla Corte di appello di Perugia che stabilì il 25 luglio scorso due condanne a 4 anni ora confermate.
Secondo l’ipotesi accusatoria Guarino, “abusando della sua qualità e dei suoi poteri, con il fattivo apporto di Cordeschi, avrebbe costretto Gabriele Valentini ad effettuare dei lavori di ristrutturazione per un importo ammontante a circa 25.000 euro, presso un appartamento nella sua disponibilità, sito in Roma, e, nel medesimo contesto relazionale, avrebbe poi sollecitato ripetutamente un aiuto economico per l’acquisto di un immobile, prospettando al Valentini una “punizione” nel caso fosse venuto meno alla richiesta, senza riuscire nell’intento per la ferma opposizione della persona offesa. Tale ultima condotta, rimasta allo stadio del tentativo, è stata infine oggetto di una declaratoria di estinzione del reato per prescrizione”.
Ecco alcuni stralci della lunghissima motivazione. “È stata ritenuta rilevante la genesi delle dichiarazioni: durante un dialogo con la moglie, avvenuto il 25 giugno 2014 (e, dunque, a due-tre anni di distanza dai fatti per cui si procede) e oggetto di intercettazione”, si legge negli atti, “Valentini avrebbe definito il colonnello Guarino un «tangentaro» che «mi ha ridotto in mutande”.
Da ciò, aveva fatto seguito una convocazione per essere sentito dal magistrato inquirente, effettuata con modalità particolarmente rigide.
La situazione, aveva spinto Valentini ad un atteggiamento prudente: egli si limitò, pertanto, a rispondere alle domande rivoltegli, senza riferire nulla di più in ordine a fatti che mai “avrebbe denunciato se non richiesto dall’organo inquirente”.
Ciò costituisce, insieme al decorso del tempo, una ragionevole giustificazione delle discrasie rispetto al contenuto della testimonianza di Valentini (avvenuta altri tre anni più tardi), ricco di riferimenti a nuove circostanze e a ulteriori particolari. Guarino, sin dai primi loro contatti, si era posto “come soggetto ‘diretto’ e ‘perentorio’ che non si faceva scrupoli nei rapporti con gli altri» (lo stesso imputato, peraltro, parlando di sé medesimo, si era definito ‘antipatico, prepotente e aggressivo’)”.
“In quel contesto, il militare aveva fatto capire all’imprenditore di aver bisogno di lavori edili in un appartamento a Roma di cui usufruiva a titolo gratuito, dove voleva trasferire la famiglia, con l’intenzione di acquistarlo in seguito (con l’ulteriore precisazione che avrebbe avuto bisogno di reperire buona parte della liquidità ipotizzata come corrispettivo, quantificabile in diverse centinaia di migliaia di euro).
Al contempo, il colonnello aveva ventilato un suo interessamento per far affidare all’impresa di Valentini, che sino a quel momento aveva operato solo con privati, dei lavori per la locale Curia. Tale affidamento non si concretizzò mai, ma Guarino cominciò presto a “pronunciare frasi sempre più allusive e minacciose. Il contesto si fece sempre più inquietante per la persona offesa, che non aveva fornito il denaro richiesto. Scattò l’allarme di casa senza motivo, fu raggiunto a Venezia da una telefonata di Guarino che si dimostrò ben a conoscenza di dove fosse e in compagnia di chi (così dimostrando di avere i mezzi per controllare le sue frequentazioni e i suoi spostamenti), Valentini prese ad essere convocato, quasi quotidianamente in caserma e fu destinatario di innumerevoli minacce di «passare guai» e di intimidazioni più larvate (accenno alla facilità con cui si sarebbe potuto nascondere dello stupefacente nella sua auto, anticipazione del prossimo avviso di garanzia a un alto prelato locale, presentazione di alcuni soggetti definiti ‘massoni'”, esibizione della pistola di ordinanza puntata scherzosamente contro un cameriere, millanterie in ordine a un asserito potere di ricatto dei locali magistrati)”.
“Il racconto della persona offesa era confortato dalle dichiarazioni della moglie e del figlio, Stefania Innamorati e Mario Valentini, del suo avvocato, Paone (che, in quanto tale, aveva avuto colloqui tutt’altro che sereni con Guarino, registrando in un’occasione la burrascosa conversazione), sui materiali esecutori dei lavori nella casa in uso a Guarino e del suo effettivo proprietario, nonché dagli accertamenti posti in essere dalla Guardia di Finanza e dalle foto che riproducevano lo stato dei luoghi dell’immobile oggetto di ristrutturazione”. Così delineato lo scenario generale, in ordine allo specifico reato per cui c’è poi stata condanna la Corte territoriale ha poi precisato preliminarmente che «le numerose e reiterate condotte tenute dal Guarino [avevano] certamente assunto un carattere intimidatorio», dovendosi recisamente escludere la tesi di una loro riconducibilità a «espressioni di esuberanza (…) collocate nell’ambito di un rapporto di amicizia e frequentazione».
“Le continue ed esplicite pressioni del colonnello avevano, piuttosto, condotto Valentini a una situazione di terrore e di piena sudditanza psicologica, dovendosi escludere un rapporto paritario tra loro. Si deve, d’altronde, escludere la sussistenza di vantaggi sinallagmatici per l’imprenditore rispetto alle richieste del militare; invero, le condotte di quest’ultimo risultano concussive, senza che fosse emersa alcuna effettiva facilitazione professionale in favore di Valentini. Fermo restando che gran parte della ricostruzione dei fatti si riferisce a episodi successivi alla consumazione del delitto di concussione per cui è intervenuta condanna (e, purtuttavia, evidentemente utili per colorare, anche ex post, l’intera vicenda e, prima ancora, saggiare la credibilità del dichiarante), in merito a tale reato, la Corte di merito sottolinea come, in un contesto intimidatorio di tal fatta (sia pure nelle sue fasi iniziali), Guarino e Cordeschi chiesero a Valentini di effettuare alcuni lavori presso l’appartamento romano in uso al colonnello. All’inizio, gli fu rappresentata la necessità di una semplice tinteggiatura e, di fronte a un intervento di modesta entità, Valentini si dimostrò disponibile a effettuare le opere a titolo gratuito”.
“Le richieste poi – avanzate anche dalla moglie di Guarino, direttamente in loco – si estesero alla ristrutturazione dell’impianto idraulico ed elettrico, al rifacimento della cucina, alla risistemazione del bagno e alla tinteggiatura anche degli infissi, con conseguente lievitazione dei costi (infatti, il 20 maggio 2011, fu stilato un preventivo per complessivi euro 25.000). «Cordeschi si recava a trovarlo insistentemente dicendogli che era assolutamente necessario eseguire i lavori e che non poteva rifiutarsi», senza chiarire chi, tra lui e Guarino, avrebbe poi provveduto al pagamento, di modo che Valentini sperava almeno di riuscire a rientrare nelle spese vive, ma portò avanti l’esecuzione «per il solo timore di ritorsioni». Guarino, infatti, aveva segnalato la propria urgenza di entrare in possesso dell’appartamento ristrutturato, non potendovi provvedere per tempo la ditta inizialmente da lui prescelta. Il proprietario dell’immobile ha riferito che l’abitazione era in uso gratuito a Guarino da almeno due anni (di modo che egli non aveva contezza della tipologia di lavori eseguiti) e che il colonnello gli aveva espresso il desiderio di acquistarla, ma la trattativa non era poi andata a buon fine, in mancanza di accordo sul prezzo”.
“I diversi soggetti che eseguirono i lavori hanno confermato che il costo degli interventi elettrici e di pittura ammontava a circa euro 4.000; secondo la Corte di appello, avrebbe dovuto, nondimeno, tenersi conto anche della sostituzione dei vecchi sanitari con i nuovi e del loro smaltimento; le fotografie agli atti, inoltre, confermavano «le pessime condizioni dell’appartamento prima dei lavori» ed è stato accertato anche il rifacimento di bagni e cucina». Risulta, dunque, complessivamente congruo l’importo indicato nel suddetto preventivo (inviato anche a Cordeschi, quantomeno per conoscenza); la teste Innamorati, d’altronde, aveva quantificato l’importo dei lavori, svolti fuori sede, in circa euro 20.000. È «pacifico, e mai contestato, che nessuna somma sia mai stata pagata dal Guarino, pagamento mai avvenuto neppure in epoca successiva come ammesso dallo stesso imputato anche nel corso dei colloqui avuti con l’avv. Paone nel corso dei quali aveva addirittura sostenuto come i lavori erano stati concordati tra il Valentini e il Cordeschi e come dovevano essere pagati da costui».
“Ad ogni buon conto, non solo neppure Cordeschi – formalmente estraneo al rapporto negoziale per contratto d’opera – versò alcunché, ma era egli stesso direttamente debitore di oltre euro 100.000 nei confronti di Valentini, in conseguenza di due prestiti di denaro ricevuti e mai restituiti. La sua responsabilità quale extraneus appare indubitabile, avuto riguardo al rilevante contributo offerto nell’episodio concussivo: fu lui ad avvicinare Valentini e a presentargli Guarino e, poi, agendo in sincronia con il militare, ad insistere «nel convincerlo ad assecondare la richiesta dell’ufficiale nell’effettuare i lavori», non potendo rifiutarsi, poiché il colonnello non «avrebbe gradito». “Non a caso, quindi, il preventivo fu inviato anche a lui, che continuò successivamente, con «insistenza pazzesca», a fare pressioni su Valentini, sino a farsi consegnare euro 2.000, per le spese condominiali dell’appartamento di Roma”.
“I giudici umbri si sono mossi, con ogni evidenza, nel pieno rispetto della cognizione loro attribuita, posto che, come già evidenziato, l’annullamento della sentenza della Corte abruzzese per insuperabili vizi di motivazione aveva rimesso loro – l’intera valutazione della vicenda. “Sono dunque inammissibili tutte le doglianze che contestino la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore, della valenza probatoria del singolo elemento secondo cui la manifesta illogicità della motivazione presuppone che la ricostruzione proposta dal ricorrente e contrastante con il procedimento argomentativo recepito nella sentenza impugnata sia inconfutabile e non rappresenti soltanto un’ipotesi alternativa a quella ritenuta in sentenza”.
“Quanto all’asserita contraddittorietà delle dichiarazioni di Valentini, il Collegio condivide la consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui la valutazione della attendibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni). Nella fattispecie, la Corte di Perugia ha ritenuto – con motivazione del tutto congrua e priva di vizi logico-giuridici – pienamente credibile il racconto di Gabriele Valentini, peraltro in presenza di molteplici riscontri oggettivi, all’esito di un’analisi scrupolosa e serena, come ampiamente illustrato, dell’intero quadro probatorio”.
“Il Tribunale”, dicono ancora i giudici, “aveva già evidenziato come la frequentazione tra il colonnello e il dentista/imprenditore, iniziata alla fine del 2010 per i buoni uffici di Cordeschi, sin da subito assunse connotazioni imbarazzanti per le convocazioni quasi quotidiane in caserma, costringendo la persona offesa a interrompere le proprie attività professionali anche solo «per sbeffeggiarlo o per ostentare nei suoi confronti il proprio potere», e per le ripetute presentazioni, senza invito e anche in ora tarda, presso l’abitazione di Valentini; il tutto sempre con “atteggiamento autoritario e prepotente”, con abbondanza di battute da parte di entrambi gli imputati “spesso di cattivo gusto ed ambiguo, risultanti di fatto come velate minacce e avvertimenti”). Sono, inoltre, manifestamente infondate le ulteriori doglianze stringatamente inserite nel corpo del ricorso, con riferimento ad asserite ulteriori violazioni procedurali. Il solido complesso motivazionale evidenzia la piena adeguatezza della piattaforma probatoria a fondare, già di per sé, l’affermazione di responsabilità”.
L’AQUILA: CONCUSSIONE A IMPRENDITORE, CASSAZIONE CONFERMA 4 ANNI A GUARINO E CORDESCHIL'AQUILA - La Corte di Cassazione ha confermato le condanne a 4 anni di reclusione ai danni per Savino Guarino, di 63 anni, ex comand...









