L’AQUILA – “Riteniamo opportuno che il Comune dell’Aquila valuti con attenzione il mancato rispetto degli obblighi contrattuali da parte della Mival, in assenza di un piano industriale e con il rischio di esuberi, al contrario di quanto garantito con l’acquisizione di Aura, e valuti l’ipotesi di farsi restituire lo stabilimento del Tecnopolo d’Abruzzo”.
Propongono la linea dura, i circa 70 dipendenti della Mival Connect AG di Chiasso, in Svizzera, società operante nel settore delle telecomunicazioni, che a marzo ha acquisito nel Tecnopolo d’Abruzzo all’Aquila, da Aura, ex Accord Phoenix, il sito aquilano che si occupa del riciclo di rifiuti da apparecchi elettrici ed elettronici, trasformandoli in materia prima seconda.
Lo fanno con una lettera recapitata al sindaco dell’Aquila Pierluigi Biondi, all’assessore regionale alle Attività produttive, Tiziana Magnacca, al prefetto dell’Aquila, Giancarlo Di Vincenzo e ai sindacati.
Abruzzoweb è poi venuto in possesso del documento citato nella lettera: un atto notarile di acquisto dello stabilimento per metà del Comune dell’Aquila, del febbraio 2016, firmato davanti al notaio milanese Nicoletta Condò.
Documento che potrebbe rappresentare una forte arma di pressione sulla società, in quanto vincola il diritto a mantenere l’immobile alla realizzazione del piano industriale, lautamente finanziato con soldi pubblici, e che non prevedeva, come detto dai vertici della società, “interventi di ottimizzazione organizzativa e revisione dei carichi di lavoro attraverso una riduzione massiccia di personale”. Questione illustrata anche oggi nel presidio davanti l’assessorato alle attività produttive a Pescara, e nell’incontro con l’assessore Magnacca.
Eppure la nuova gestione aveva acceso grandi speranze di svolta, dopo le traversie della precedente gestione, avviata nel 2016 da Accord Phoenix, potendo godere di 11 milioni di euro da parte di Invitalia per la ripresa economica del cratere sismico 2009 e con un investimento di circa 60 milioni di euro, impiegati quasi integralmente per gli impianti, lo stabilimento e il lancio dell’attività. Con la promessa di creare all’Aquila, come manna dal cielo, 135 posti di lavoro in dieci anni.
Ma l’attività, che grandi aspettative aveva suscitato, come una nuova alba del polo elettronico, non è in realtà mai decollata, tra sequestri e processi, tutti archiviati, con successivo ingresso nel capitale sociale del fondo internazionale di private equity Orchard, diventato poi socio unico della nuova compagine Aura Spa, fino alla cessione di marzo del 100% del capitale sociale alla Mival Connect Ag.
I sindacati parlano ora di assenza di un piano industriale credibile di rischio concreto di esuberi, di incertezze economico-amministrative, e spiegano gli stessi lavoratori, “il piano si discosta profondamente da un’effettiva strategia industriale, prevedendo tra il 2025 e il 2026 un taglio dei costi del personale pari al 48%, con gravi ripercussioni sul nostro tessuto occupazionale”.
Ad intervenire anche sindaco Biondi, che ha annunciato un approfondimento da parte degli organismi competenti: ovvero ministero delle Imprese e del Made in Italy (Mimit), Invitalia, Procura della Repubblica, Guardia di Finanza e Corte dei Conti, alla luce degli 11 milioni de fondi pubblici ottenuti con l’insediamento industriale.
I dipendenti però aggiungono un’altra potente arma per fare pressione, resa possibile dal fatto che il Comune dell”Aquila è proprietario dell’area “ex Italtel”, assegnata al Tecnopolo d’Abruzzo tramite regolare gara, e soprattutto, spiegano i lavoratori che lo stabile occupato da Accord Phoenix- Aura e ora da Mival Connect AG è stato acquisito per metà dalla Finmek Solution, in amministrazione controllata, e per l’altra metà tramite atto di compravendita con il Comune di L’Aquila, dopo un’asta pubblica condotta “secondo regole chiare, e con impegni precisi per chi avesse manifestato interesse e concluso l’iter di acquisto”.
Precise condizioni messe nero su bianco dall’atto notarile del febbraio 2016.
L’atto, al punto 8, riporta gli “obblighi a carico della parte acquirente”, in conformità alla delibera della giunta comunale del 24 settembre 2015: “la parte acquirente si impegna ad insediare nell’Immobile, entro 3 anni dalla sottoscrizione del presente atto, una nuova attività produttiva e industriale che dia luogo ai livelli occupazionali dichiarati nella proposta tecnica”,
E soprattutto al comma 3 si stabilisce: “qualora la parte acquirente cessi l’attività produttiva avviata nell’Immobile entro dieci anni dall’avviamento, ovvero, non rispetti gli impegni assunti in ordine ai livelli occupazionali dichiarati, la parte acquirente si obbliga a ritrasferire l’immobile alla parte venditrice al prezzo di alienazione, detratta una percentuale per l’uso da calcolarsi su base annua del 5%, senza tener conto di eventuali migliorie documentate per adeguamenti strutturali ai sensi di legge. La retrocessione avverrà libera da vincoli, pesi ed oneri di qualsiasi natura”.
Ebbene fanno osservare i lavoratori: “nella documentazione presentata all’epoca, tra cui il procedimento di verifica di assoggettabilità a Valutazione di impatto ambientale, la manifestazione di interesse per l’acquisto dell’immobile e il piano industriale, l’azienda ha sempre dichiarato una ricaduta occupazionale di almeno 135 addetti su due turni di lavoro”. Promessa dunque non mantenuta, tanto da rendere possibile la restituzione lo stabilimento.
“Riteniamo opportuno che il Comune di L’Aquila valuti con attenzione il mancato rispetto di tali obblighi contrattuali da parte dell’acquirente, soprattutto in vista della scadenza dei 10 anni dall’avvio dell’attività. Ricordiamo inoltre che l’insediamento industriale ha beneficiato di un finanziamento pubblico di circa 11 milioni di euro da parte di Invitalia. Confidiamo nella sensibilità e nell’interesse di tutte le istituzioni coinvolte, e ci auguriamo che si possano adottare tempestivamente iniziative risolutive per tutelare i livelli occupazionali e l’attività produttiva sul nostro territorio”, concludono i lavoratori.
Aveva scritto sulla vicenda il sindaco Biondi: “è indispensabile chiarire se vi sia stato un uso improprio dei fondi pubblici destinati a sostenere il progetto – 11 milioni di euro da parte di Invitalia – e, soprattutto, se l’acquisizione risponda davvero all’obiettivo di rilanciare la produzione in un settore strategico come quello del trattamento dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raae) o se, al contrario, si tratti soltanto di una mera operazione commerciale, finalizzata a depauperare il nostro territorio e delocalizzare altrove un impianto tecnologico all’avanguardia”.
“È bene precisare – aggiunge il sindaco – che, tra il 2015 e il 2016, l’asta pubblica con la quale lo stabile attualmente occupato da Aura Materials è stato acquistato dall’allora Accord Phoenix – per metà dalla Finmek Solution e per l’altra metà tramite atto di compravendita con l’ente comunale – è stata condotta con regole chiare e obblighi precisi a carico della parte acquirente finalizzati a garantire i livelli occupazionali dichiarati nella proposta per almeno 10 anni, pena, in caso contrario, la restituzione dell’immobile al Comune dell’Aquila”.
“Le istituzioni hanno il dovere di vigilare: L’Aquila non può permettersi di assistere, ancora una volta, al tradimento delle aspettative di un territorio che ha creduto e investito in un polo tecnologico come volano di sviluppo e occupazione. Mi associo, infine, al richiamo alla Costituzione italiana dell’assessore regionale alle Attività produttive, Tiziana Magnacca, che ricorda a tutti noi come la responsabilità sociale delle imprese non sia un concetto astratto, ma un principio che deve guidare ogni scelta industriale ed economica, nel rispetto dei lavoratori e delle comunità”.
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