SCUOLA: A PESCARA FLASH MOB DEI DOCENTI COSTRETTI A TRASFERIRSI LONTANO DA CASA

di Arianna Iannotti

10 Settembre 2016 20:42

Regione - Cronaca

PESCARA – Salgono uno alla volta su un banchetto sistemato al centro di piazza Salotto a Pescara, dicono il loro nome, la città di provenienza e quella dove devono andare ad insegnare, a centinaia di chilometri di distanza.

Sono in circa 150 e tutti portano un nastrino rosso in segno di protesta. Sono gli insegnanti trattati come pacchi postali dalla cosiddetta Buona scuola di Matteo Renzi. Docenti che, da un giorno all’altro, hanno saputo di doversi trasferire fuori regione. E poco importa se devono occuparsi di figli piccoli e genitori anziani.

Così sabato pomeriggio hanno deciso di far sentire la propria voce nel corso di un flash mob di protesta a Pescara. Lo stesso giorno in cui i colleghi pugliesi hanno manifestato con un sit-in in occasione della visita del presidente del Consiglio alla Fiera del Levante. Il coordinamento dei nastrini rossi ha protestato anche in Campania, con un sit-in in piazza Plebiscito a Napoli. 

“Siamo un movimento spontaneo, indipendente da partiti politici e sigle sindacali – dice la coordinatrice dei Nastrini rossi abruzzesi, Francesca Carusi – l’obiettivo è difendere i nostri diritti e credere fino in fondo nel valore educativo della scuola”. 





“Questo sistema non penalizza solo noi, ma anche le scuole nelle quali i posti sono ancora vacanti”, dice Stefania Di Pietro di Pescara che a causa della mobilità coatta dovrà trasferirsi a Pesaro. “Molti di noi sono insegnanti di sostegno – continua – e questi trasferimenti forzati che lasciano sguarnite le scuole del territorio vanno anche a danno dei ragazzi con problemi di disabilità che assistiamo. Chiediamo, infatti, che si dia attuazione alla sentenza 80/2010 della Consulta di Stato che tutela i diritti degli alunni disabili”. 

“Il problema sta nel fatto che questa legge assurda non è riuscita a trasformare l’organico di fatto in quello di diritto. Per questo siamo costretti ad andare fuori regione, lasciando vacanti i posti nelle scuole dove abbiamo sinora insegnato”, aggiunge la teatina Teresa Anania, madre di tre figli, di 7, 9 e 10 anni, che sarà costretta ad andare ad insegnare a Treviso, a 570 chilometri di distanza. 

“La legge 107, inoltre, non permette di chiedere il riavvicinamento prima di tre anni. Per questo chiediamo una deroga al vincolo triennale sulla mobilità che permetta i trasferimenti annuali e volontari”, aggiunge Rosa Bubici, moglie e madre di un bimbo di 7 anni, che ha insegnato economia aziendale e sostegno tra Chieti e Pescara e che ora è entrata di ruolo a Venezia, a 520 chilometri di distanza.

Maria Rosa Lupoli, sposata e madre di due figli minori, ha sinora insegnato a Lanciano (Chieti), ma il ruolo l’ha avuto a Guastalla, in provincia di Reggio Emilia, a 500 chilometri di distanza. E dire che, moglie di un maresciallo dei carabinieri, ha già dovuto trasferirsi varie volte da quando si è sposata. “Nelle procedure di mobilità non ci sono stati conteggiati i servizi fatti nella scuola paritaria e neanche la Ssis, come accadeva in passato – dice – chiediamo perciò una parità di trattamento, che d’altronde è un diritto garantito dalla Costituzione e che invece è stata elusa dalla invenzione di fasi che hanno stabilito arbitrariamente, e solo in momento successivo all’immissione in ruolo, una gerarchia di merito tra docenti che hanno gli stessi titoli”.





Anche Antonio Carluccio di Guardiagrele (Chieti), che sinora ha insegnato a Lanciano (Chieti), sarà costretto a lasciare a casa la moglie e le due figlie di 4 e 11 anni, per prendere servizio a Fabriano, in provincia di Ancona. 

L’insegnante di matematica teatina Elda Capriotti ha invece decido di farsi ben 5 ore in viaggio al giorno (tante ce ne vogliono per andare e tornare da Campobasso) pur di non lasciare a casa i due figli minori. Come tanti anche lei ha avviato due ricorsi, uno collettivo e l’altro individuale, contro una legge che per lei “è incostituzionale perché va a ledere il diritto di famiglia. Tra l’altro, nella pubblica amministrazione i trasferimenti, se sono obbligatori, non possono superare una distanza di 50 chilometri”. 

“Perché noi dobbiamo essere messi in mobilità su un piano nazionale, mentre prima una cosa del genere non accadeva?” domanda la teatina Luigina Zappacosta, che ha due figli piccoli e una madre invalida ed è stata assegnata di ruolo a Sassuolo. 

“Un’altra cosa che è venuta meno è stata la trasparenza sul funzionamento dell’algoritmo che ha deciso le sorti di circa 400 famiglie abruzzesi trasferite fuori regione”, conclude Maria Casolino di Città Sant’Angelo (Pescara), trasferita a Bergamo. “Nessuno sapeva come avrebbe funzionato il sistema. Per tutti noi è stato come fare un salto nel buio”. E dopo tanti anni di precariato, il sogno del ruolo si è trasformato in un grosso incubo.

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