L’AQUILA E LE SUE CANCELLE, ODIO E AMORE: SCHIFARONO IL RE, ORA SONO DA SALVARE

di Eleonora Marchini

1 Gennaio 2015 12:35

L'Aquila - Gallerie Fotografiche

L’AQUILA – Quando il giovane re di Napoli, Ferdinando IV di Borbone, nel 1796 giunse all’Aquila per un breve soggiorno nel palazzo Vescovile, certo non avrebbe immaginato di vedere turbata la sua regale quiete da urla, schiamazzi, turpiloqui e rumori molesti proprio sotto le sue finestre.

Il tutto, condito da miasmi e odori nauseabondi, veniva dalle vicine case dette le Cancelle del Pesce, luogo di ritrovo per la compravendita di pesci di mare, di fiume e di lago e di altri generi alimentari.

Con questo biglietto da visita, fu ben lieto, il re, di concedere al mortificato monsignor Gualtieri il permesso di richiedere lo spostamento dei locali della pesceria in altro luogo più adatto. E se ne partì soddisfatto per fare ritorno a Napoli.

Suona abbastanza strano, quello che oggi è considerato come uno degli scorci più affascinanti ed evocativi del centro storico aquilano terremotato, ritratto nel secolo scorso da grandi artisti della fotografia come Ashby e i fratelli Alinari, semplice e grazioso nelle sue pulite linee architettoniche quattrocentesche, in passato era un luogo sudicio e maleodorante, guardato con disgusto da cittadini e amministratori comunali che più volte ebbero a discutere su come risolvere il problema di puzza e liquami.

Le Cancelle è il nome con cui si indicavano le minuscole botteghe sorte lungo il perimetro della piazza Grande, già piazza del Mercato, l’attuale piazza Duomo.

Hanno testimoniato l’evolversi del sistema del commercio passato dai banchi aperti direttamente su strada alle botteghe al chiuso, con la merce esposta sui davanzali e i magazzini nel retrobottega o ai piani superiori.

Non era solo il commercio, a evolversi. Come testimoniato dai faldoni dell’Archivio di Stato, anche e soprattutto i cittadini prestavano sempre più attenzione all’estetica, alla necessità di abbellire e rendere vivibili quei luoghi, come la piazza Grande, fino ad allora destinati a ospitare solo gli scambi commerciali, o le esecuzioni capitali per impiccagione e decapitazione e le torture dei prigionieri.

Ecco perché le scarse condizioni igieniche e la ressa di gente, le grida e gli schiamazzi provenienti dalle botteghe delle Cancelle non erano più tollerabili per il decoro pubblico.

UNO SPOSTAMENTO TORMENTATO

La supplica del vescovo al re di concedere lo spostamento da un'altra parte fu l’inizio di una lunga e travagliata storia, che a tratti ha dell’assurdo.

Nel 1798 , il Comune, che vantava un diritto di dominio utile cioè di sfruttamento del locale delle Cancelle e pagava un canone annuo di affitto di 9 ducati al monastero di Santa Maria di Collemaggio, decise di indire un’asta pubblica per la cessione di quel diritto.

Ad aggiudicarsi l’asta fu un tale Benedetto Berardelli per ducati 102 e grane 50, con l’impegno di spostare altrove la pesceria e di versare il canone di affitto al monastero di Collemaggio.

Ed ecco che iniziarono i guai: davanti ad un notaio, Berardelli dichiarò di aver vinto l’asta con i soldi prestatigli dal barone Giuseppe Alferi Ossorio , ragion per cui il locale acquistato doveva considerarsi di proprietà del nobile.

I lavori di spostamento non furono quindi effettuati, in attesa che si chiarisse la vicenda. Peccato che il Barone nel 1802 avesse già concluso la vendita dello stesso diritto di sfruttamento con don Pietrantonio Cimoroni delle terre di Barete.

Quest’ultimo, pur di velocizzare lo sgombero delle Cancelle per entrarne in possesso, si offrì di costruire a sue spese il nuovo stabile che avrebbe dovuto ospitare la pesceria, nel luogo che avesse scelto l’amministrazione comunale.

I decurioni che formavano l’amministrazione individuarono come sito utile dapprima l’area davanti il palazzo del Magistrato, l’attuale municipio noto come palazzo Margherita, dove in quel momento venivano ospitate le famose Aquile in Gabbia, successivamente i locali adibiti allo scannaggio degli animali, non a caso posizionati in via de’ Macelli, l’attuale via Patini.

A nulla valsero, però, le ripetute interrogazioni e suppliche, gli esposti inviati da don Cimoroni all’attenzione del Decurionato e del magistrato. Vi era sempre qualche ritardo, qualche documento da chiarire, qualche aspetto che impediva lo sgombero delle botteghe.

UN MARCHESE COCCIUTO

Si giunse, di rinvio in rinvio, al 25 maggio 1824. Tra i documenti dell’Archivio Civico si trova una lettera indirizzata all’Intendenza del Secondo Abruzzo Ulteriore dal nobile aquilano marchese Luigi Dragonetti, che chiedeva l’intervento dell’Intendente per sciogliere il nodo della questione di quelle botteghe, ancora adibite a pesceria e ancora non sgomberate dal Comune.

Il marchese Dragonetti aveva da poco acquistato il fondo delle Cancelle dal barone Alferi Ossorio.





La sollecita risposta dell’intendenza giunse dopo soli 6 mesi, il giorno 11 novembre 1824, sotto forma di dispaccio indirizzato al sindaco dell’Aquila: si invitava l’amministrazione a procedere senza indugio al rilascio dei locali di proprietà del Dragonetti.

Le maglie della burocrazia ottocentesca assunsero forme bizzarre o forse ci fu la volontà di tirare per le lunghe una vicenda che appariva sempre più ingarbugliata.

Proprietario effettivo del sito restava il monastero celestiniano, al quale, però, nessuno stava versando più da anni il canone di affitto, né i vari compratori del diritto di utilizzo né tantomeno il Comune.

In una lettera informale, un incaricato comunale si interessava di far eseguire alcuni lavori di riparazione sul tetto delle Cancelle e ne chiedeva il rimborso all’Intendenza.

Alla domanda di chi fosse il proprietario del fondo, l’impiegato rispose candidamente “ che molti avanzerebbero delle pretese di proprietà, ma è tutto da dimostrare ancora”.

Amore e odio per le Cancelle: la contesa per il diritto di sfruttamento continuava a suon di lettere e consigli decurionali e istanze presso il magistrato. Rimpalli e lungaggini, mentre ancora si cercava il luogo alternativo dove spostare la pesceria e risolvere i problemi di ordine e sanità pubblici.

Abbandonata l’idea del sito occupato dalle Aquile, si tornò a valutare i locali dello scannaggio, e già erano pronte le perizie tecniche per le necessarie modifiche che ecco giungere le rimostranze degli abitanti del circondario della via de’ Macelli, i quali non avevano intenzione di accollarsi il fastidio del sudiciume prodotto dalla pubblica pesceria.

Il veto definitivo fu la rivendicazione del diritto di proprietà avanzato dall’ordine degli Ospizi proprio sui locali dello Scannaggio , il che costrinse il comune a un nuovo nulla di fatto. In pratica, tutti i locali occupati da pubbliche attività, risultavano essere in un modo o nell’ altro di proprietà di qualche altro soggetto.

Il marchese Dragonetti tentava ogni mossa pur di entrare in possesso dei locali acquistati. Venne a conoscenza di un progetto per aprire un viale che partisse dalla porta San Ferdinando (l’attuale Porta Napoli) e giungesse al corso, attraversando quindi orti e terreni da espropriare.

Guardacaso il marchese risultava essere tra i proprietari di tali terreni: colse la palla al balzo e con una elegante missiva propose un accordo al Comune. Il nulla osta all’esproprio delle sue terre in cambio dell’applicazione della giustizia ovvero dello sgombero delle Cancelle.

Nel maggio del 1825 ancora non veniva fatta rispettare la delibera di sgombero. Il Dragonetti si disse pronto a sostenere tutte le spese per lo spostamento della pesceria, in qualsiasi posto il Comune avesse deciso, nel pubblico interesse di sanare le questioni di igiene e abbellire la piazza Grande, una delle location migliori della città. Eliminando, così, l’indecenza della vendita del pesce posta nei pressi dell’imponente duomo di San Massimo.

Nel frattempo, abolito l’ordine celestiniano, la proprietà delle Cancelle era passata al Real Liceo degli Abruzzi e si cominciò a diffondere la voce di un sopruso bello e buono effettuato dal Comune, il quale in realtà aveva venduto all’asta nel 1798 una roba non sua.

Forse anche per mettere a tacere le voci insistenti , il sindaco rispose con una compitissima lettera al marchese Dragonetti, allegando un estratto della delibera del Decurionato che ribadiva nuovamente la necessità di lasciargli liberi i locali.

In pratica però, non solo il nobile Dragonetti non si vide riconosciuto il possesso delle Cancelle, nonostante le trascrizioni notarili, ma gli venne intimato di provvedere lui stesso allo sgombero, di attrezzare un nuovo sito per trasferirvi la vendita degli alimentari e di accollarsi, di lì in avanti, il canone annuo da versare ora al Real Liceo D’Abruzzo, più tutti i canoni arretrati.

Pur di vedere finalmente riconosciuta la sua ragione, Dragonetti accettò tutte le condizioni tranne il pagamento dei canoni arretrati.

Questa risposta non piacque , però, al Comune. Furono incaricati due Decurioni che indagassero a fondo sulla vicenda per stabilire fatti e antecedenti e venire a capo di chi dovesse pagare cosa.

Per la seconda volta, fu stabilito come il marchese avesse tutti i diritti per ottenere l’uso dei locali delle Cancelle, e, tenendo conto della cessione “senza parlare di prezzo alcuno” del terreno in località Campo di Fossa necessario alla realizzazione della strada fino alla zona detta Belvedere, il consiglio dei Decurioni stabilì che sì, avrebbe lasciato liberi i locali, a patto di non venire più il Comune molestato dalle continue richieste di pagamento dei canoni di affitto arretrati.

Fu necessario l’intervento dell’Intendente della Provincia per mediare tra e ratificare il successivo accordo raggiunto tra le due parti. Il parere risolutivo, almeno sulla carta, dell’Intendente giunse il 21 agosto del 1829.





LA SCOMPARSA DEL MERCATO DEL PESCE

Nel 1830 venne meno l’obbligo del mercato del pesce, cioè delle riunioni per stabilire i prezzi e le compravendite, e di conseguenza venne meno anche la necessità di trovare un nuovo sito per la pubblica pesceria delle Cancelle.

Invece di essere consegnate queste, come giusto, al marchese, ne venne tuttavia disposta la chiusura e caddero in disuso, non più utilizzate dai mercanti, ma divenute semplice rimessaggio di bilance e materiali.

Il problema delle scarse condizioni igieniche non era affatto risolto, anzi, più attuale che mai, visti il trascorrere del tempo e i cambiamenti della società in epoca risorgimentale.

Di nuovo si pensò a creare un mercato coperto del pesce nella zona di piazza Palazzo, sotto la gabbia delle Aquile, osservando come la vicina fontana potesse servire per lavare via i liquami e i residui delle lavorazioni, o ancora su via de’ Macelli.

Nessuno, di sicuro, voleva che le Cancelle restassero sulla piazza Grande perché puzzavano, trasudavano lerciume, erano luogo di resse e schiamazzi. Nessuno sapeva, però, nemmeno dove spostarle perché avrebbero portato con sé il carico di sporcizia.

L’unico desideroso di entrarne in possesso era il povero marchese Dragonetti che ancora nel 1831 tornò a incalzare il Comune per ottenere ciò che gli spettava e di cui, nel frattempo, aveva acquistato a Napoli la piena proprietà dalla Real Cassa, con il diritto a ricevere il canone di affitto di ducati 9 che il Comune stesso continuava a non pagare.

Tra un esposto del marchese e una nuova indagine dei Decurioni, l’ennesima, per appurare fatti e precedenti, tra rinvii, memorie e decisioni non prese per cavilli tecnici e burocratici, il 10 luglio 1849 è testimoniata l’ultima supplica scritta presentata dal Dragonetti all’intendenza dell’Abruzzo Ulteriore nella ormai vana speranza di entrare in possesso di una cosa già sua.

IL NUOVO TENTATIVO

C’è stato un periodo di vuoto, nella storia delle Cancelle, che passarono di mano, fino a un certo Giovanni De Matteis, proprietario nel momento in cui il Comune di Aquila degli Abruzzi tornò a rispolverare il progetto di un mercato coperto del Pesce, stavolta una cosa in grande, da costruirsi al posto delle Cancelle, per abbellire e donare ampio respiro alla piazza del Duomo.

Le bistrattate e contese botteghe, nei disegni dell’amministrazione “presentano un qualche pregio esclusivamente nella facciata, che può essere recuperata e spostata in via Simeonibus a sostituire il sito fatiscente delle abitazioni della Congregazione della Carità che vi insistono e che attualmente rappresentano uno sconcio edilizio”, affermava l’assessore Chiarizia nella seduta del 25 giugno 1912.

Allo scopo, conti febbrili si fecero nelle casse del Comune: servivano circa 60 mila lire per acquistare il fabbricato e altre 145 mila lire per costruire il nuovo mercato al posto delle Cancelle.

Venne indetto nel 1911 un concorso a premi per il progetto del Nuovo Mercato Coperto: al vincitore 2 mila lire e la possibilità di realizzazione dell’opera. Secondo premio, 500 lire.

A giudizio unanime del Consiglio comunale, presieduto dal sindaco avvocato Bernardino Marinucci, la scelta cadde sul progetto “ Roma” dell’ingegner Angelo Guazzaroni il quale avrebbe assunto anche la direzione dei lavori di costruzione. La cifra necessaria non avrebbe dovuto superare le 100 mila lire.

L’ennesimo nulla di fatto si ebbe dopo che svariati istituti di credito rifiutarono la concessione di un mutuo quarantennale per 145 mila lire all’ente comunale, chi perché troppo fuori zona (Cassa di Risparmio di Torino), chi perché ritenne insufficienti le garanzie del prestito (Banco di Napoli e Cassa depositi e prestiti) oppure troppo lunga la dilazione richiesta di 40 anni.

Queste oggettive difficoltà, oltre a valutazioni di carattere tecnico e architettonico, fecero abbandonare anche l’idea del mercato coperto di piazza Duomo.

Al suo posto fu costruito il Palazzo delle Regie Poste e telegrafo, inizialmente previsto in piazza Palazzo ma poi localizzato sul sito occupato dalle Cancelle, come da Piano regolatore Tian del 1917.

La facciata quattrocentesca delle piccole Botteghe aquilane delle Cancelle, retrocessa dunque in via Simeonibus, oggi giace ancora abbandonata e nel lerciume, circondata dal centro terremotato e dai cantieri della ricostruzione, non presa in considerazione, almeno per ora, dal proprietario.

Che, secondo quanto si è appreso, anche sulla base di un’interrogazione parlamentare presentata nel 2007 dagli allora parlamentari Massimo Cialente e Giovanni Lolli, dovrebbe essere Poste italiane, anche se quello specifico faldone all’Archivio di Stato non risulta consultabile.

La storia, insomma, si ripete. Ma almeno, a differenza di 200 anni fa, per fortuna le Cancelle non fanno più schifo agli aquilani, ma sono parte dell’elenco dei monumenti da salvaguardare.

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