L’AQUILA – Ripercorrere a ritroso la storia della palla ovale è un’impresa ardua: le ipotesi sono infatti molte e le certezze davvero poche, secondo la cronaca più accreditata nasce in un aristocratico college inglese, quello di Rugby appunto.
E quell’aristocratico college inglese ha in qualche modo continuato a ispirare gli atleti di oggi: non sarà certo un caso che tra i rugbisti il numero di laureati sia molto più elevato rispetto a sportivi di altre discipline.
Se poi pensiamo al “physique du role”, all’impegno, alla passione, al sacrificio e alla sfida con la vita per costruirsi qualcosa di solido oltre il campo, non può non venire in mente un campione aquilano doc, Carlo Caione.
E con lui, interrogandosi sul perché nella palla ovale ci sia un gran numero di atleti laureati, AbruzzoWeb parla proprio di questo, della difficoltà di mettere insieme due aspetti importanti: lo sport a certi livelli e la professione (di dentista), gli allenamenti e le lezioni universitarie.
“Sono riuscito senza alcuna difficoltà a conciliare la pratica sportiva con i miei studi – spiega – laureandomi a solo 24 anni”.
Carlo, odontoiatria, con un obbligo di frequenza universitaria da rispettare, svolgeva l’allenamento individuale durante la pausa pranzo e la sera si allenava con i compagni.
“La pratica dello sport non deve essere considerata una distrazione rispetto agli studi – continua – bensì un’opportunità, quel valore aggiunto che ci consente di imparare a ottimizzare il tempo, rendendoci più responsabili e quindi più efficienti, così è stato per me”.
“Una volta approdato nel rugby professionistico – racconta – avevo già la laurea in tasca e questo ha reso sicuramente le cose più facili, mi ha consentito di dedicarmi completamente allo sport che, a certi livelli, richiede sicuramente tempi e impegni maggiori”.
“La mia convinzione, oggi come ieri – continua – è quella di fare una sola cosa per volta e farla bene: smesso di giocare, ho infatti rinunciato alle proposte provenienti dall’ambiente sportivo e mi sono totalmente dedicato al mio lavoro”.
Secondo Caione, “nel rugby la percentuale dei laureati è sicuramente maggiore rispetto ad altri settori. Gli elementi che condizionano questa tendenza – sottolinea – sono, a mio avviso, più di uno: da un lato i valori propri di questo sport, la forma mentis che esso contribuisce a creare, l’elevato aspetto umano che connota l’ambiente del rugby, la ricerca dei risultati, ma non va trascurato anche l’aspetto economico, gli scarsi profitti rispetto ad altri ambienti portano comunque a dover pensare al futuro in un’altra ottica”.
“E tutti questi elementi – sostiene l’ex capitano neroverde – fanno sì che per noi ex rugbisti non ci siano ‘sindromi di fine carriera’, bensì la voglia di ripartire per nuove sfide e lo stimolo a rimetterci in discussione per il perseguimento di risultati importanti”.
Carlo chiude la conversazione con un bel messaggio all’indirizzo dei giovani e delle loro famiglie.
“Non comprendo – sottolinea – l’atteggiamento di quei genitori che precludono ai figli la pratica di discipline sportive perché considerate una distrazione per lo studio: vorrei che il mio esempio personale e quello di molti altri miei colleghi servisse a far capire che lo sport, oltre a essere una magnifica esperienza di vita, insegna in nome dell’efficienza a ottimizzare i tempi, a stare lontani proprio dalle distrazioni stesse e soprattutto, aiuta a produrre endorfine che regalano buonumore”.
Alla fine di questa intervista, interessante quanto l’imprevedibile traiettoria che la palla ovale disegna a ogni suo lancio, viene da pensare che il rugby sia uno sport che forma la testa o forse che, se non hai la testa, proprio non puoi giocare a rugby.
Download in PDF©