IL LOCALE DELLA FAMIGLIA BERNARDI HA OLTRE UN SECOLO DI STORIA

RIVIVRA’ A L’AQUILA LA CANTINA DEI FALALANI, ”LA LEGGENDA DI VIA DEGLI SCARDASSIERI”

di Alberto Orsini

16 Ottobre 2016 08:09

L'Aquila - Gallerie Fotografiche

L’AQUILA – Riaprirà. Forse diventerà un museo del vino, forse resterà un’enoteca, ma comunque tornerà all’Aquila la Cantina dei Falalani in via degli Scardassieri, traversa di via Sallustio nel cuore del centro storico.

Un luogo leggendario, con delle botti gigantesche nel sottosuolo a due passi dal municipio di palazzo Margherita di cui pochi conoscevano l'esistenza, aperto fino al 4 aprile 2009, di cui si vanno perdendo le tracce tra i giovani aquilani, ma del quale restano le vestigia, in una strada che, oltre cent’anni fa, era costellata di botteghe e aveva un frequentatissimo punto di ristoro proprio nell’attività gestita dalla famiglia Bernardi.

Testimone di quell’epoca irripetibile, della creazione dal nulla di via Sallustio abbattendo numerosi fabbricati, del passaggio da un’economia ancora agricola alla modernità, la signora Maria Manieri, 87 anni, decine passati a insegnare come maestra di scuola elementare, verve incredibile e ricordi brillanti, madre del medico e consigliere comunale aquilano Antonello Bernardi.

Il padre di quest’ultimo, Giuseppe, marito di Maria, ha gestito la cantina per decine e decine di anni con il fratello Gaetano, noto come “il Ragioniere” del Consorzio agrario, quest’ultimo morto sotto le macerie del sisma del 6 aprile 2009. Pure Giuseppe non c’è più da qualche anno, ma almeno resta la memoria a tenere vivida una bella storia che ora si vuole far riprendere.

I “Falalani” sono quelli che facevano la lana, per essere precisi la cardavano, ma il nome ha assunto il significato di “fare le cose” in senso generale. “E in via degli Scardassieri di cose se ne facevano davvero tante”, Maria comincia a ricordare mentre Antonello mette il caffè.

La Manieri snocciola tutti i “vicini” della strada degli artigiani. “Accanto avevamo Faraone, un ferraiolo che si occupava di rifiniture, ferri per le ferratelle e cancelli decorati, Amedeo il calzolaio, Ricci il ferraio, Troiani che vendeva scarpe, e tanti altri, il callararo, il carbonaio e così via… – racconta ad AbruzzoWeb – Avevano le botteghe e la casa accanto, oppure dormivano direttamente sopra il banchetto. C’è stato tanto progresso in questi anni, a quei tempi il bagno in casa non lo aveva nessuno!”.

Già prima che aprisse la cantina, l’attività della famiglia di Maria era un’altra. “Mio padre, Carmine Manieri, classe 1894, lavorava come maniscalco in via San Vittorino, che era l’attuale via Sallustio, parallela di via Burri. ‘Carminuccio ferracavalli’, così era conosciuto. Nel periodo in cui era stato sotto le armi aveva imparato anche il lavoro del veterinario e medicava gli animali”, racconta.

“Realizzava i ferri a mano per i muli del Comune, per i cavalli dell’Esercito, per gli animali del marchese Cappelli. Io, piccolina, portavo le ricevute in Comune, che si trovava lungo il corso stretto, a Santa Maria dei Raccomandati – prosegue – Lavoravamo anche con i contadini dei paesi attorno all’Aquila, che pagavano non in soldi, ma con il baratto, e ci portavano salami, formaggio, frutta”.

“La stalla si affacciava su via San Vittorino, dirimpetto al cosiddetto Casermaggio, che poi è stato abbattuto per aprire via Sallustio – prosegue – In quell’edificio c’erano i viveri per i soldati, pasta, olio, ricordo che dalla finestra con le grate ci lanciavano delle gallette. Erano tempi difficili, quando nevicava in via San Vittorino il ghiaccio non andava via neanche a luglio! Negli anni Cinquanta il Casermaggio fu demolito, allora mi mettevo a studiare in quello spiazzo, al suo posto furono costruite le case popolari”.





Sposando Giuseppe Bernardi, la storia di Maria si incrocia con quella dei Falalani, anche se lei alla cantina non ha mai lavorato.

Nessuno ricorda un anno di apertura preciso, la cosa sicura è che è molto antica, tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento. A gestirla in primis, Emilio Bernardi ed Emilia Marchetti, genitori di Giuseppe, Gaetano, Francesco e Concetta, nonché suoceri di Maria.

Gli approvvigionamenti venivano dai posti più insospettabili. “Avevamo una vigna proprio qui, dove oggi c’è il quartiere di Pettino. Questa zona era tutta coltivata, ma si comprava uva anche nella Valle Subequana, ad Acciano, da un signore di nome Morelli che però chiamavano il Maresciallo”.

“Sempre nei sotterranei c’era la vasca dove si pigiava con gli stivali, una volta pronto il vino scendeva direttamente con un canale e si riempivano le botti. C’era e c’è tuttora – ribadisce – Avevamo anche tutti i macchinari necessari, i torchi, la pigiatrice e la spigolatrice. La vendemmia era una festa, si chiamavano tutti gli amici di famiglia per aiutare”.

Poi arrivavano i clienti. La signora Maria ricorda che “il vino lo si andava a prendere con il boccale, nonna (nome affettuoso per la suocera Emilia, ndr) scendeva da una scala posta accanto al bancone. I boccali erano coperti con il fazzoletto per evitare mosche e polvere”.

Ma dai Falalani si poteva anche mangiare. “Era una delle tradizioni della cantina, che aveva la licenza di cucinare. Avevamo una specie di cassapanca lunga e rialzata che fungeva da tavola. In tanti venivano, per esempio i venditori di legna a Santa Maria Paganica, o di uova e carbone, da Tornimparte e da altri paesi. Fermavano a via San Vittorino i carretti con le bestie, poi tornavano per mangiare. Ma servivamo anche gli zingari se capitava”.

“Mia suocera preparava la coratella, delle padellate enormi, mangiavano, bevevano e stavano magnificamente”, assicura.

Nel frattempo è tornata a casa Michela, la figlia di Antonello. Studia a Roma, ma oggi fa da “corriere” portando una busta di fagioli per la nonna. E questo è lo spunto per un’altra chicca. Un menù speciale proprio a base di legumi c’era, infatti, per il 17 gennaio, giorno di Sant’Antonio Abate.

“Si cucinavano i fagioli con le cotiche e li offrivamo a tutti quelli che venivano, nessuno escluso – svela Maria – Venivano cotti al piano di sopra, in casa e portati ai clienti, gratis con un pezzo di pane, qualcuno se ne riportava pure un piatto a casa, sempre senza pagare. Ho l’immagine dei pentoloni enormi con 5-6 chili di fagioli a bagno. Erano cucinati per bene, con le polpettine, erano davvero ghiotti”.

Negli anni Settanta e Ottanta la cantina era diventata anche “un luogo di cultura e dello sport”, come ricorda bene Antonello, grazie a una stanza riservata “dove venivano a fare merenda gli impiegati del Comune, del provveditorato, che si riunivano da noi”.





A proposito di sport, non a caso Bernardi era anche calciatore del Real Scardassieri, colori rigorosamente rossoblù come L’Aquila Calcio, di cui poi sarebbe stato presidente negli anni Novanta. “Il Real giocava contro il Fontesecco, giallorosso, contro Santanza-Santa Barbara, Farfa, sul campo di cemento dei Salesiani, dove dopo furono costruite scuole professionali. Che tempi!”.

Anche Francesco, detto “Checchino”, tra i fratelli Bernardi aveva il calcio nel sangue, ritenuto uno dei migliori aquilani della sua generazione, tanto che giocò anche in serie C con L’Aquila Calcio.

Negli ultimi anni il buon nome della cantina aveva subìto qualche colpo, qui lo sguardo della signora Maria si fa triste. “Dato che il vino costava di meno, veniva indicata come la cantina dei tossicodipendenti. Anche per evitare che questa fama potesse prendere piede, il locale apriva solo la mattina nell’ultimo periodo”.

L’ultima giornata di apertura, sabato 4 aprile 2009. Le cronache dell’immediato post-terremoto ricordano che domenica 5 Gaetano aveva addirittura giochicchiato a calcio con gli amici a piazza d’Armi. Poi, alle 3.32, il disastro.

“L’edificio vecchio è caduto sul piano di sopra, mio cognato è morto e mia cognata è rimasta ferita – sospira Maria – Io e mio marito eravamo usciti e siamo rientrati per soccorrerli, ma siamo finiti anche noi sotto le macerie. Giuseppe ha rotto la porta, prima è caduto lui e poi pure io. Altri inquilini, come il signor Cardilli, sono rimasti feriti”.

I mesi da sfollati, il ritorno all’Aquila nella casa di Pettino proprio dove una volta c’era la vigna, tanti anni a rimpiangere il passato. La zona di via degli Scardassieri è rimasta a lungo puntellata e solo ora, dopo 7 anni e mezzo dal sisma, ha visto partire finalmente il cantiere.

Le due grandi botti erano state costruite direttamente dentro la cantina, nell’unico modo possibile altrimenti non ci sarebbero mai entrate, e allo stesso modo sono state smontate prima dell’avvio dei lavori di ricostruzione con la consulenza di un maestro bottaio di Teramo incaricato di recuperarle.

Negli ultimi dieci anni, peraltro, non erano state più utilizzate perché il vino andava custodito in quelle di acciaio o vetroresina o in recipienti di vetro per le rigide norme comunitarie sugli alimenti e bevande.

Oggi le botti sono al sicuro e i lavori in corso. “Il progettista è Antonello Salvatori – spiega Bernardi – Puntiamo al recupero di questo edificio storico, l’intenzione è quella di ripartire per ridare vita alla via e a un quartiere che è asse antico e vitale della città. La mia idea è un museo del vino, ma vedremo”.

“L’idea è quella di ripartire con l’attività, che siano i figli o altri a gestirla – conferma anche Maria – I miei nipoti studiano tutti, ma se non trovano lavoro almeno avranno i negozi: con la crisi che c’è, tengo la roba mia e faccio qualcosa di mio”, è il pensiero conclusivo da vera imprenditrice.

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